di Robin D. G. Kelley e Erica Lorraine Williams
La morte di Nelson Mandela ha prodotto un’effusione di solidarietà internazionale, ricordo e di celebrazione a commemorazione della leadership di Madiba nello sconfiggere l'Apartheid in Sudafrica. Essa ha anche generato un'ondata di revisionismo storico e mitizzazione, il genere di cose che ci si aspetta quando i radicali diventano icone. La maggior parte dei media e statisti che avevano accumulato obbrobri sul Sig. Mandela solo pochi anni prima, lo hanno elogiato non per il suo impegno per la lotta incessante del Congresso Nazionale Africano (CNA) contro il sistema dell'Apartheid, ma per aver perdonato i suoi oppressori. In altre parole, Mandela è stato grande perché ha oltrepassato la razza - ha scelto di non "odiare". Certo, "l’odio" è rimosso dalla politica del CNA, un’organizzazione non-razziale aperta a tutti coloro che sono impegnati per la democrazia.
La bacchetta magica dei mass media ha trasformato quello che era un potente boicottaggio internazionale dei prodotti sudafricani e di tutte le imprese che fanno affari con il regime di Apartheid in uno slogan: Nelson Mandela libero. Ancora una volta, un movimento sociale più ampio, che mira a rovesciare un regime oppressivo razzista, è individualizzato come se fosse incentrato solo su una figura eccezionale. Il boicottaggio, un movimento globale non-violento promosso in solidarietà con il popolo diseredato, espropriato e soggiogato del Sudafrica, era organizzato in modo da esercitare pressione sul regime sudafricano affinché esso rispettasse il diritto internazionale e smantellasse l'Apartheid. E ci è riuscito.
Invece di partecipare a questa mitizzazione e a quello che Cornel West chiama la "Santa Claus-ificazione" di un uomo che fu rimosso dalla lista dei terroristi redatta dagli Stati Uniti soltanto nel 2008, soffermiamoci sulla transizione di Mandela come occasione per ricordare non solo la sua comprensione e il suo sostegno al boicottaggio come una strategia di resistenza, ma anche il suo sostegno incondizionato al diritto dei palestinesi all'autodeterminazione.
Poco dopo essere stato rilasciato dal carcere nel 1990, Nelson Mandela incontrò Yasser Arafat in Zambia. Abbracciò il leader palestinese come un "compagno combattente per la libertà." In un viaggio in Australia nell'ottobre 1990, Mandela si riferì a Israele come "uno stato terrorista", definizione che forse non sorprende dal momento che Israele "fornì competenze e tecnologia che fu centrale per lo sviluppo delle sue bombe nucleari del Sudafrica [Apartheid]."
L’occupazione illegale israeliana risvegliò qualcosa in Mandela. Nel 1990 egli disse a un giornalista del Los Angeles Times che "i confini di Israele non dovrebbe includere la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e le alture del Golan" e "noi [il CNA] ci identifichiamo con l'OLP perché, proprio come noi, essi stanno lottando per il diritto all'autodeterminazione." Non sorprende il fatto che Mandela venne aspramente criticato per il suo supporto all'OLP e liquidato come un terrorista. Un decennio più tardi egli spiegò a Larry King, "Ieri sono stato chiamato terrorista, ma quando sono uscito di prigione molte persone mi hanno abbracciato, compresi i miei nemici, ed è quello che io normalmente dico ad altre persone che affermano che coloro che sono in lotta per la liberazione nel loro paese sono terroristi".
Mentre Mandela non ha mai identificato pubblicamente Israele come uno Stato di Apartheid e parlato entusiasticamente degli accordi di pace di Oslo, egli ha sempre concepito la lotta palestinese per la nazione come un movimento globale, una lotta che richiedeva il tipo di solidarietà internazionale di cui il CNA e il Fronte Democratico Unito avevano goduto in Sudafrica. Nel suo discorso in occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese rilasciato a Pretoria il 4 Dicembre 1997 egli avvertì rispetto a quanto fosse facile "cadere nella trappola di lavarsi le mani delle difficoltà che devono affrontare gli altri…Ma sappiamo fin troppo bene che la nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi". In un discorso tenuto un anno dopo, Mandela ricordò al mondo che la solidarietà taglia entrambi i modi: "I sudafricani trassero coraggio e forza del sostegno così generosamente dato dal popolo palestinese anche se a loro stessi mancava la libertà…i sudafricani hanno il dovere di dare una mano e sostenere coloro che cercano giustizia e uguaglianza".
I legami politici profondi tra palestinesi e sudafricani sono abbastanza forti - corrisposti, forse, solo dalle profonde connessioni al movimento di liberazione nera in America. La morte di Madiba ha generato un'ondata di lutto e di ricordo da parte degli attivisti palestinesi. Marwan Barghouti che è stato spesso definito come il "Mandela palestinese", dalla sua cella di prigione ha scritto le seguenti parole circa Madiba: "Io vi dico che la nostra libertà sembra possibile perché avete raggiunto la vostra. L'Apartheid non ha prevalso in Sudafrica e Apartheid non prevarrà in Palestina." Riflettendo sulla sua esperienza di persona cresciuta in un campo profughi a Gaza, Ramzy Baroud ha scritto: "Essere un palestinese, in particolare un profugo palestinese, assomigliava per molti versi all’essere un nero del Sudafrica". Magid Shihade, docente presso l'Istituto per gli Studi internazionali dell’Università Birzeit di Ramallah, ricorda un'esperienza indimenticabile nel sentire Mandela parlare a Seattle durante la fine degli anni ‘90. "I leader americani", disse Mandela alla folla, "volevano che mi allontanassi dalla mia politica, dalla gente che mi è stata accanto e che mi ha sostenuto quando stavamo lottando contro l'Apartheid. Volevano che mi distanziassi da Yasser Arafat, Saddam Hussein, Gheddafi. Bhe, queste sono le persone che ci hanno sostenuto…Non siete stati voi, e chi siete voi per dire di chi si può essere amici". Anni dopo Shihade incontrò il primo ambasciatore di colore del Sudafrica a Ramallah: "Mi disse che prima di essere nominato a rivestire questa carica Mandela gli disse: “Questa non è una carica diplomatica tipica. La causa palestinese è la nostra causa. Arafat è un mio caro amico. Ha aiutato finanziariamente la mia famiglia per oltre 20 anni mentre io ero in carcere. In Palestina non essere solo un ambasciatore, ma un alleato."
Sotto la presidenza di Mandela, il governo sudafricano ha cercato di essere un alleato mantenendo piene relazioni diplomatiche con lo "Stato di Palestina" e fornendo assistenza tecnica in una varietà di settori – dalla Gestione delle Emergenze al "rafforzamento del ruolo della donna." Ma è stata una posizione estremamente difficile per Madiba, dal momento che il riconoscimento dei territori occupati come uno "Stato" senza sovranità reale ha cambiato rotta verso una politica che egli ha fermamente respinto: il riconoscimento dei Bantustan o "patrie nere" create per separare le "tribù" africane sotto il regime dell'Apartheid. Attraverso una combinazione di forza e legislazione, il governo sudafricano ha creato questi Stati separati con il proprio apparato semi-governativo che designa la cittadinanza, non solo per i residenti dei Bantustan, ma per quelli con affiliazioni "tribali" che vivono in Sudafrica. I Bantustan non avevano nessun potere, nessuna forza militare, nessuna sovranità, nessuna economia reale, nessun controllo sui propri confini e rimasero subordinati all'autorità del Sudafrica. Non è raro per i palestinesi riferirsi alla Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est - i territori che presumibilmente costituiranno lo "Stato" palestinese come a un "Bantustan".
L'analogia è critica, perché in nessun momento della storia moderna del CNA la soluzione a "due Stati" o una soluzione multipla è stata oggetto di discussione. L'idea di dividere il Sudafrica sulla base della razza o dell'origine etnica fu un anatema per Mandela e il movimento. Essi spinsero affinché s’instaurasse uno Stato laico e democratico basato sul suffragio universale, sull’uguaglianza e sulla cittadinanza per tutti. Come il defunto Edward Said e altri hanno fatto notare circa la posizione di principio di Mandela, a differenza di Arafat, egli rifiutò niente di meno che uno Stato democratico - non avrebbe accettato la leadership di Jim Crow, una “nazione” economicamente e politicamente dipendente, e anzi quel rifiuto fu in parte l’origine del dispiegamento del Capo Mangosuthu Gatsha Buthelezi di Inkatha per far guerra al CNA e i suoi alleati. Mandela fu chiaro: la democrazia era impossibile in uno Stato razzista.
Gli attivisti palestinesi e i loro alleati che rifiutano la soluzione a "due Stati" traggono ispirazione da Mandela, anche se la sua politica supporta uno Stato palestinese indipendente. E’ proprio qui che l'analogia con l’Apartheid si inserisce. Israele è governato da politiche razziali di esclusione, espropriazione e sottomissione, definite da muri di separazione e strade asfaltate solo per i coloni israeliani nei territori occupati; Israele limita la cittadinanza ai soli ebrei e nega a milioni di profughi palestinesi il diritto al ritorno; nega ai palestinesi musulmani, cristiani e beduini, pari accesso alla proprietà, ai servizi sociali e assistenziali e alle risorse materiali amministrate dallo Stato; nega ai palestinesi che sono costretti a lasciare le loro comunità (nel 1948, 1967 e ancora oggi) i diritti sulle terre, case, conti bancari, cassette di sicurezza della banca e altri beni che una volta essi possedevano; costringe i cittadini palestinesi di Israele a vivere in comunità esclusivamente "arabe" che non posso espandersi, che sono costrette a frequentare le scuole sotto finanziate; e nega ai palestinesi l'occupazione in sedi del governo e il diritto a vivere con il proprio coniuge se lei o lui è un palestinese dei Territori occupati.
Quello che Mandela e il CNA offrivano era una visione di cittadinanza che non era fondata sulla razza o religione. Per i palestinesi si tratta di una vecchia idea (l'idea di uno stato bi-nazionale) alla quale si dà nuova vita (la richiesta di uno stato democratico). Come lo scrittore/attivista Ali Abunimah ci ricorda, Mandela accettò le lamentele degli afrikaner circa un'identità del Sudafrica e così facendo, "fu in grado di accettare la narrazione del suo nemico senza compromettere la richiesta che vedeva gli afrikaner rinunciare alla loro pretesa di potere esclusivo. Mandela esortò i sudafricani ad abbracciare qualsiasi afrikaner che abbandonasse l'Apartheid e così facendo gli afrikaner guadagnarono legittimità agli occhi degli altri sudafricani; [quella legittimità] che non erano stati in grado di ottenere attraverso secoli di dominazione. Si tratta di una manovra incredibilmente semplice e potente, ma è quella manovra che finora è andata al di là della capacità della maggior parte degli israeliani e palestinesi".
Per molti di noi che lavoriamo per costruire il movimento BDS e il boicottaggio accademico e culturale di Israele con l’obiettivo di porre fine all'occupazione, garantire il diritto al ritorno dei palestinesi e smantellare il sistema di Apartheid in Israele (tra cui il muro di separazione), Madiba continua a essere una fonte d'ispirazione. Lui e i suoi compagni hanno riconosciuto il boicottaggio internazionale come un punto di svolta nella lotta anti-Apartheid. Infatti, il caso del Sudafrica può essere il miglior esempio che abbiamo di come un boicottaggio internazionale di principio possa contribuire a cambiare le condizioni della lotta. L’arcivescovo Tutu trasse ispirazione dalle ammonizioni di Mandela contro un’interpretazione di "riconciliazione e equità al pari di giustizia ed ingiustizia" nel difendere il proprio sostegno al BDS e in particolare al boicottaggio accademico e culturale: "Non può mai essere tutto come prima. Le università israeliane sono una parte intima del regime israeliano, per scelta attiva…i palestinesi hanno scelto, come noi abbiamo fatto, gli strumenti nonviolenti del boicottaggio, disinvestimento e sanzioni".
Dopo aver preso parte al Tribunale Russell sulla Palestina, l’amico di lunga data di Mandela, il suo collega e compagno di prigione a Robben Island, Ahmed Kathrada, ha scritto, "Sono profondamente convinto che i palestinesi stiano vivendo una vita simile - e per molti aspetti molto peggiore di - quella che abbiamo vissuto noi durante l'Apartheid in Sudafrica". Kathrada prosegue dicendo: "Alcuni vorrebbero farci credere che la storia del Sudafrica è solo quella del dialogo e della riconciliazione. Di certo era [incentrata] su questi [temi]. Tuttavia si tratta anche di una lotta contro l'occupazione e [di una lotta] per la giustizia." E il Sudafrica continua a promuovere questo discorso. Oltre ad essere la sede di una delle più grandi campagne BDS del pianeta, il governo del Sudafrica stesso ha sostenuto il boicottaggio quando ha deciso di vietare i prodotti realizzati negli insediamenti ebraici illegali in Cisgiordania. Il Sudafrica ha anche ritirato il suo ambasciatore da Israele per protestare contro l’incursione violenta dell’IDF sulla MV Marvi Marmara (parte della Free Gaza Flotilla) al largo della costa di Gaza nel maggio 2011.
Infine, l'esperienza del boicottaggio accademico del movimento anti-Apartheid ha molto da insegnarci nel momento in cui discutiamo la decisione da parte dell’Associazione di Studi Americani di sostenere il boicottaggio delle istituzioni accademiche e culturali israeliane (non individui). Ci viene ricordato che il ruolo del movimento del boicottaggio non era solo economico o anche solo principalmente economico - era educativo. Le campagne pubbliche hanno fatto sì che il mondo si rendesse conto del carattere brutale dell’Apartheid, sfidando la rappresentazione che la minoranza bianca sudafricana aveva di sé come di una democrazia illuminata. Secondo Salim Vally, direttore del Centro per l'Educazione ai Diritti e la Trasformazione presso l'Università di Johannesburg e veterano del movimento, il boicottaggio ha radicalmente alterato la politica interna dell'università in Sudafrica eliminando l'opzione della "neutralità" e aprendosi al dibattito sui temi della disuguaglianza, repressione e rimedio.
Come uno dei suoi colleghi bianchi rifletté, "le associazioni accademiche (alcune più di altre) esaminarono la natura e le condizioni della ricerca nelle loro discipline e i sindacati dei docenti entrarono a far parte delle lotte più ampie per la giustizia, piuttosto che degli organismi che tutelavano interessi professionali ristretti. Le università divennero luoghi di intenso dibattito e, anzi, gli intellettuali vennero criticamente coinvolti nei dibattiti sulla natura delle società sudafricane attuali e futuri. Sulla scia del boicottaggio non c'era una decurtazione di libertà accademica, ma una fioritura di pensiero intellettuale che era ricco, vario ed eccitante".
Alla fine l'Apartheid è morta sul bordo tagliente dei principi, della lotta e solidarietà, non del perdono, l'apologetica e il compromesso. Questo è stato il regalo di Madiba e il dono del movimento. Il Sudafrica non è certo il paese concepito nella Carta della Libertà e il tipo di politica neoliberale che purtroppo è prevalsa ha trovato i suoi sostenitori anche tra le élite palestinesi. Ma ciò che rimane profondamente radicato nella società civile, sia in Sudafrica che in Palestina, è un retaggio di un movimento di principio, guidato da una visione della democrazia libera di dominazione o esclusione. Contribuire a dare vita a questa visione è il modo migliore per commemorare la vita di Madiba e il suo lavoro.
Robin D. G. Kelley che insegna all’Università della California, è l’autore di Thelonious Monk: The Life and Times of an American Original (2009) e del più recente Africa Speaks, America Answers: Modern Jazz in Revolutionary Times (2012).
Erica Lorraine Williams è Assistente Professore di Antropologia presso lo Spelman College. E’ l’autrice di Sex Tourism in Bahia: Ambiguous Entanglements (University of Illinois Press, 2013). Seguila su Twitter a @ericalwilliams7
Fonte: Counterpunch
Traduzione: BDS Italia