Le imprese private europee svolgono un ruolo importante nel finanziamento, agevolazione e sostentamento delle violazioni israeliane del diritto internazionale e degli insediamenti illegali israeliani in tre modi principali:
I. Fornendo prodotti e servizi che facilitano l'esistenza degli insediamenti illegali
La multinazionale francese Veolia gestisce i trasporti, i rifiuti e le infrastrutture dell’acqua per gli insediamenti illegali israeliani, tra cui la tranvia di Gerusalemme, costruita per collegare gli insediamenti israeliani in Israele e facilitare l'espansione delle colonie.[1]
La società di sicurezza britannica G4S fornisce servizi e attrezzature di sicurezza a posti di blocco israeliani, al Muro di separazione e alle imprese private negli insediamenti illegali israeliani, inclusi quelli a Gerusalemme est. L'azienda aiuta inoltre Israele a operare prigioni in cui i palestinesi, compresi i bambini, sono incarcerati senza processo e sottoposti a tortura.[2]
Il Gruppo svedese Volvo e la società britannica JCB forniscono bulldozer e veicoli per lavorare la terra a Israele. Tali macchinari sono utilizzati dal governo israeliano per demolire case palestinesi, anche a Gerusalemme Est.[3]
Una sussidiaria della società irlandese CRH fornisce cemento a Israele che è utilizzato nella costruzione del Muro di separazione.[4]
L’azienda italiana Pizzarotti e la società svedese Atlas Copco sono entrambe coinvolte nella realizzazione dell’illegale progetto ferroviario israeliano A1 che passa attraverso il territorio palestinese occupato e sta causando il trasferimento di molti palestinesi.[5]
II. Importando e vendendo beni realizzati da aziende che operano negli insediamenti illegali israeliani
Le imprese europee sostengono gli insediamenti israeliani anche importando e vendendo merci prodotte da aziende che operano in tali insediamenti. Molti grandi rivenditori europei importano prodotti provenienti da aziende che operano negli insediamenti illegali israeliani come Mehadrin, SodaStream e Ahava. Imprese esportatrici israeliane come Mehadrin e SodaStream svolgono un ruolo chiave nell’appropriazione della terra palestinese, acqua e altre risorse naturali. Molti insediamenti israeliani, in particolare nella zona della Valle del Giordano, sono economicamente sostenibili solo perché le imprese che operano in essi sono in grado di esportare verso i mercati europei.
Molti esportatori israeliani, tra cui Mehadrin, SodaStream e Ahava hanno dimostrato di indurre in errore dettaglianti e consumatori circa la vera origine delle merci prodotte negli insediamenti illegali israeliani, rendendo difficile per i rivenditori evitare la vendita di prodotti creati negli insediamenti senza tagliare del tutto i legami con alcuni esportatori israeliani e rendere irrealizzabile una corretta etichettatura dei prodotti israeliani.[6]
III. Investendo in aziende e progetti creati dagli insediamenti illegali
La banca belga (parzialmente statale) Dexia fornisce prestiti a lungo termine e di altri servizi finanziari utilizzati dalle autorità municipali israeliane per facilitare la costruzione delle colonie.[7] Molte banche europee detengono azioni e forniscono prestiti alle imprese con sede o operanti negli insediamenti israeliani. Ad esempio, la banca britannica Barclays detiene una partecipazione significativa nella ‘British Israel Investments’, una società immobiliare che possiede vaste quantità di beni negli insediamenti illegali israeliani.[8]
2. L’obbligo degli Stati di prevenire che le imprese contribuiscano a violazioni di diritto internazionale e dei diritti umani
Secondo il diritto internazionale come applicato nel parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 2004 riguardante il Muro e agli insediamenti israeliani, gli Stati terzi stanno violando i loro obblighi internazionali di non riconoscere né prestare aiuto o assistenza a queste gravi violazioni israeliane consentendo che l'attività economica e finanziaria con gli insediamenti continui.[9]
L’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq ha pubblicato un'analisi giuridica che sostiene che gli Stati sono giuridicamente obbligati a terminare gli scambi con aziende operanti in insediamenti israeliani. Al-Haq sostiene che permettendo il commercio delle colonie, gli Stati: "implicitamente riconoscono come legale la situazione che deriva da una violazione di norme imperative del diritto internazionale e quindi violano il loro obbligo di non riconoscimento [di tale situazione]" e che "in aggiunta, impegnandosi nel commercio dei beni prodotti dalle colonie, gli Stati violano il loro obbligo di collaborare attivamente al fine di porre termine all'impresa degli insediamenti israeliani”.[10] Uno studio accademico pubblicato recentemente nel Journal of International Humanitarian Legal Studies ha ribadito e ampliato questa analisi.
I Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani, sostenuti dall'Unione Europea e adottati dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, spiegano che gli Stati devono garantire che le imprese rispettino i diritti umani e il diritto umanitario internazionale. I Principi Guida esortano gli Stati a fornire informazioni per aiutare le aziende a evitare di contribuire a violazioni dei diritti umani derivanti dal conflitto e a fornire "adeguata assistenza alle imprese per valutare e affrontare i maggiori rischi di abusi" nelle aree di conflitto. I Principi esortano inoltre gli Stati a ritirare l'appoggio e a non procacciarsi servizi da aziende che violano persistentemente i diritti umani.[11]
Il report dei Capi della Missione dell’Unione Europea del 2012 ha esortato l'Unione e gli Stati membri a "prevenire, scoraggiare e far conoscere le implicazioni problematiche di operazioni finanziarie, compresi gli investimenti diretti esteri, all'interno dell'UE a sostegno delle attività, infrastrutture e servizi delle colonie".[12]
Nel settembre 2012, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una relazione sulla complicità delle imprese con riferimento agli insediamenti israeliani redatta da Richard Falk, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. La relazione sollecita gli Stati a prendere misure affinché le imprese vengano ritenute responsabili per la loro partecipazione a violazioni israeliane del diritto internazionale e ad adottare misure per porre fine alla partecipazione delle imprese nelle colonie israeliane.[13]
In dialogo con Richard Falk, il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) ha dichiarato che "L'Unione Europea ritiene che i Principi Guida su imprese e diritti umani debbano essere applicati a livello globale e invita le imprese europee ad attuare i Principi Guida in tutte le circostanze, incluso Israele e nel Territorio palestinese occupato."[14]
Nel marzo 2013, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato la relazione della Commissione d’Inchiesta sugli insediamenti israeliani. La Commissione d’Inchiesta ha affermato che il coinvolgimento in attività promosse dalle colonie israeliane ricade sotto la giurisdizione della Corte Penale Internazionale e può comportare responsabilità penale. Concludendo che le imprese hanno "consentito, agevolato e guadagnato dalla costruzione e la crescita degli insediamenti", la Missione esorta gli Stati ad adottare "misure appropriate" per impedire alle imprese di contribuire a violazioni dei diritti umani legate agli insediamenti illegali israeliani.[15]
Mentre le recenti linee guida che vietano che i fondi pubblici comunitari vengano assegnati ai progetti ed entità in insediamenti illegali israeliani dovrebbero essere accolte e attuate pienamente, queste linee guida sono gravemente compromesse dalle vaste relazioni economiche tra le imprese europee.
3. Esempi di buone pratiche
In generale, i governi europei non prendono misure sufficienti per prevenire i rischi e i problemi connessi con l'impegno economico e finanziario in attività promosse dagli insediamenti illegali israeliani nel territorio palestinese occupato. Ci sono tuttavia alcuni esempi di buone pratiche:
Il governo olandese è recentemente intervenuto per scoraggiare la società d’ingegneria Royal Haskoning DHV dalla partecipazione a un progetto di trattamento delle acque reflue con il Comune israeliano nell’occupata Gerusalemme Est. La società ha ascoltato il consiglio del governo olandese e si è ritirata dal progetto.[16]
Il governo olandese ha anche rilasciato dichiarazioni pubbliche che consigliano alle aziende di evitare rapporti commerciali con gli insediamenti illegali israeliani. In una dichiarazione scritta al Parlamento nel maggio 2013, il ministro degli Esteri olandese Frans Timmermans ha indicato che il governo olandese scoraggia i rapporti finanziari con gli insediamenti israeliani. Egli ha detto: "Anche se non vietate, le relazioni economiche tra le aziende olandesi e aziende in insediamenti nei territori occupati sono scoraggiate dal governo olandese."
Nel febbraio 2011, il ministro dei trasporti tedesco scrisse a Deutsche Bahn per esprimere opposizione al suo coinvolgimento in un progetto ferroviario israeliano che passa per la Cisgiordania occupata. Deutche Bahn pose fine alla sua partecipazione al progetto subito dopo.[17]
Nel marzo 2013, i funzionari del ministero degli Esteri tedesco informarono direttamente i rappresentanti di un'organizzazione della società civile palestinese, che il governo tedesco aveva pubblicato una guida per tutte le università tedesche scoraggiandole dall’avere qualsiasi rapporto con l’Ariel University, un’università creata all’interno della colonia di Ariel in territorio palestinese occupato.
4. Raccomandazioni
Al fine di soddisfare i loro obblighi giuridici e l'impegno per l'attuazione dei Principi Guida delle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani e garantire che le imprese non compromettano la politica dell'UE in materia d’insediamenti israeliani, l'Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero, in maniera proattiva, consigliare alle aziende di:
Porre termine a ogni tipo di commercio con aziende d’esportazione israeliane che operano all'interno degli insediamenti israeliani, poiché il commercio con tali società fornisce capitale per le imprese coinvolte nel mantenimento e l'espansione degli insediamenti israeliani;
Evitare il coinvolgimento o l’investimento nella fornitura di prodotti per le infrastrutture e servizi per gli insediamenti israeliani come i trasporti, rifiuti e servizi ambientali, dato che tali progetti violano il diritto internazionale;
Terminare tutti gli investimenti in aziende, progetti e imprese che operano all'interno degli insediamenti israeliani, incluso il disinvestimento dei capitali già investiti;
Essere consapevoli del rischio di un'azione legale contro l'azienda per le violazioni del diritto internazionale;
Inoltre, l'Unione europea dovrebbe:
Condurre una valutazione dell’impatto sui diritti umani dei suoi accordi commerciali con Israele, poiché le imprese operanti negli insediamenti israeliani sono in grado di esportare prodotti in Europa utilizzando le procedure messe in atto da questi accordi.
Incoraggiare i suoi Stati membri dal ritirare il sostegno statale e dal non procacciarsi servizi provenienti da aziende che si rifiutano di affrontare il loro contributo alle violazioni dei diritti umani.
Fonte: ECCP
Traduzione: BDS Italia
Note:
[1] http://www.whoprofits.org/company/veolia-environnement
[2] http://www.addameer.org/etemplate.php?id=460
[3] http://www.whoprofits.org/company/volvo-group; http://www.waronwant.org/attachments/JCB%20Briefing.pdf
[4] http://www.ipsc.ie/campaigns/crh-divest
[5] http://www.whoprofits.org/company/impresa-pizzarotti-c
[7] http://www.whoprofits.org/company/dexia-group
[8] http://corporateoccupation.files.wordpress.com/2012/01/targeting-israeli-apartheid-jan-2012.pdf
[11] http://www.business-humanrights.org/UNGuidingPrinciplesPortal/TextUNGuidingPrinciples
[12] http://www.eccpalestine.org/wp-content/uploads/2013/02/EU_Homs_Jerusalem_Report_2012-1.pdf
[13] http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=43376
[15] http://www.ohchr.org/Documents/HRBodies/HRCouncil/RegularSession/Session19/FFM/FFMSettlements.pdf