LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Una nuova strada israeliana sarà costruita nelle terre del villaggio palestinese tra Betlemme e Gerusalemme. Prosegue l'erosione del territorio e le sue risorse

di Chiara Pilotto - NoDalMolin

Una nuova strada israeliana devasta il già martoriato territorio di al-Walaje. Questo villaggio palestinese si trova nel dipartimento di Betlemme, a pochi chilometri da Gerusalemme, ed è già sotto effettivo controllo israeliano. Del suo territorio storico solo il 14% rimane oggi ai suoi abitanti. La nuova strada sorgerà su un'ampia porzione di terra coltivata a ulivi, di proprietà di alcune famiglie del villaggio.

Questa opera è stata ufficialmente progettata per collegare il vicino monastero di Cremisan a Gerusalemme. Fondato dai salesiani italiani a fine Ottocento, il monastero è storicamente un importante produttore di vini, tanto da meritare una vetrina particolare a Vinitaly come simbolo di pace e di dialogo, sostenuto peraltro da progetti di cooperazione e istituzioni italiane. Mentre il convento di suore è ricorso in appello contro la costruzione del muro, non risulta che il monastero abbia preso una posizione chiara nella vicenda, trovandosi comodamente dalla parte israeliana della barriera.

La strada che dovrebbe servire Cremisan, già collegato alla vicina cittadina di Beit Jala, diventa così l'ennesima modalità di appropriazione delle terre palestinesi da parte dello Stato israeliano:un'enorme curva - dichiarata necessaria a causa del dislivello del terreno - devia il suo percorso rettilineo penetrando nel terreno coltivato. Dato che sorge su una via sterrata preesistente, perché non proseguire questo percorso che termina su un terreno incolto? Lunedì prossimo l'esercito israeliano, mandatario dei lavori, prevede di sradicare 50 alberi di ulivo per sgombrare la via al cemento.

Inoltre sulle stesse terre il governo israeliano ha approvato lo scorso giugno il progetto di un parco nazionale, che verrebbe realizzato su 1,2 km² del villaggio. Ironicamente, il parco è stato pensato per preservare il paesaggio rurale e i secolari terrazzamenti, ma senza i contadini palestinesi che lo lavorano, poiché a causa del muro essi saranno esclusi dall'accesso alle loro terre. E cosa ci farebbe in questo parco una strada ad uso civile, la cui costruzione devasta proprio gli stessi campi di ulivi che si vorrebbero tutelati?

Questa vicenda è emblematica di una strategia più ampia che prevede una lenta ma costante erosione del territorio e delle risorse palestinesi, portata avanti dal governo israeliano attraverso la costruzione di nuove infrastrutture. Una strada, ma potrebbe essere anche un ponte, diventano il pretesto per emettere ordini di confisca (spesso nemmeno consegnati fisicamente, ma trovati dagli abitanti dei villaggi abbandonati per terra nelle zone interessate) e continuare così l'occupazione coloniale.

Ad esempio, ad Al-Walaje una by-pass road, ad accesso esclusivo dei cittadini israeliani, permette già agli abitanti della colonia di Har Gilo, sorta negli anni Settanta su una parte del villaggio, di raggiungere Gerusalemme nel modo più veloce.

A tutto ciò bisogna aggiungere che il muro dell'apartheid, ufficialmente volto a proteggere la sicurezza dei coloni e di Gerusalemme, circonderà l'intero villaggio con una sola entrata/uscita controllata militarmente. L'assurdità di questo progetto è rappresentata dal caso di Omar: il governo israeliano ha speso un milione di dollari per costruire un tunnel sotterraneo che colleghi la sua casa al centro abitato, separata dal resto del villaggio a causa del muro.

Queste operazioni "tecniche" - e in quanto tali apparentemente lontane dai tavoli delle trattative politiche - consentono non solo di far guadagnare spazio allo Stato israeliano, privando i Palestinesi della loro terra e della loro acqua, ma instaurano anche diversi regimi di mobilità e di vita fra le popolazioni: velocità e sicurezza per gli Israeliani, contro una "prigione a cielo aperto" per i Palestinesi, la cui mobilità viene regolata da un sistema di controllo e filtraggio fatto di checkpoint, telecamere, polizia di frontiera e permessi di lavoro in Israele.

 

Fonte: Nena News