Dodici accordi bilaterali firmati da Italia e Israele, non una parola sull'occupazione. Mentre da Torino a Roma si manifestava contro Tel Aviv.
di Emma Mancini
Dodici accordi bilaterali firmati dai premier Letta e Netanyahu lo scorso lunedì hanno calpestato la Palestina e il diritto internazionale. Accordi che il primo ministro italiano ha definito necessari alla ripresa economica e all'uscita dalla crisi, ma che sono rimasti impantanati nel silenzio assordante sulle violazioni israeliane che ha fatto da sfondo al bilaterale di Villa Madama.
Non una parola sulla Palestina. Letta non ha criticato, neppur lievemente lo storico alleato, nonostante le prese di posizione dell'Unione Europea su colonie e violazioni dei diritti umani. Non solo: il governo italiano ha firmato accordi che prevedono la cooperazione con entità e aziende israeliane coinvolte in prima linea nell'occupazione militare dei Territori Occupati.
A colpire è soprattutto il memorandum d'intesa tra l'Acea e la Mekorot, compagnia israeliana per metà statale che gestisce le risorse idriche in tutta la Palestina storica: la Mekorot è da tempo finita nel mirino della campagna di boicottaggio BDS per il controllo pressoché totale e il furto delle fonti d'acqua in Cisgiordania a favore delle colonie illegali israeliane costruite in territorio palestinese.
E ancora: uno stand all'Expo 2025 tutto dedicato ad Israele, per mostrare "il vero volto" dello Stato ebraico. E poi memorandum d'intesa per collaborazioni tra istituzioni israeliane, il Policlinico Gemelli e la facoltà di Medicina di Torino, e quella tecnologica in materia di hi-tech e cyberspazio.
"Questi accordi ora devono divenire fatti concreti", ha detto Letta, aggiungendo di considerarli strumenti per crescita e occupazione. Il tutto a spese di un popolo occupato, quello palestinese, rimasto fuori dalle discussioni dei due premier, dalla visita in sinagoga per l'Hannukah, dall'olivo piantato da Netanyahu come simbolo di pace. Un altro simbolo rubato, che non rappresenta affatto la pace, ma rappresenta il milione di alberi palestinesi sradicati, bruciati, distrutti da esercito e coloni in 46 anni di occupazione militare.
Al silenzio indifferente del governo ha fatto da contraltare la voce di attivisti, organizzazioni per i diritti umani, collettivi e cittadini che sabato 30 novembre e lunedì 2 dicembre sono scesi in piazza a Torino e a Roma per dire no al bilaterale Italia-Israele e al Piano Prawer. Dall'altra parte del Mediterraneo, nelle stesse ore, migliaia di palestinesi scendevano per le strade di tutta la Palestina storica - da Gaza a Haifa, da Ramallah al deserto del Naqab - per protestare contro il piano di espulsione e urbanizzazione forzata di 40-70mila beduini palestinesi residenti in Naqab.
Ne abbiamo parlato con Rodolfo del Collettivo Palestina Rossa, in prima fila a Torino lo scorso sabato: "Nonostante il boicottaggio subito, eravamo circa un migliaio in un corteo contraddistinto da molte bandiere rosse oltre che palestinesi, con un chiaro e determinato carattere internazionalista. Le realtà presenti, provenienti da tutta Italia, sono le stesse che hanno condiviso il percorso dell'assemblea nazionale 'Dalla solidarietà alla lotta internazionalista - al fianco della Resistenza palestinese' che ha visto tre convegni in Italia (Milano, Firenze e Torino): la piattaforma elaborata dall'assemblea nazionale si basa sul rispetto dei diritti inalienabili dei palestinesi, tra cui il ritorno dei profughi e la liberazione dei prigionieri, la fine dell'occupazione, la decolonizzazione della Palestina e la fine degli accordi di Oslo".
"La manifestazione è stata costruita con vari obiettivi - continua Rodolfo - Primo tra tutti quello di dire no al vertice intergovernativo Italia-Israele, perché non vogliamo essere complici dei crimini perpetrati; secondo, si voleva protestare contro il Piano Prawer nella settimana che i palestinesi hanno definito 'della rabbia'; infine volevamo dare un chiaro segnale che un nuovo fermento in Italia sta dando vita ad un movimento di solidarietà con la Palestina che ha scelto di sostenere la Resistenza, sempre più abbandonata dalla sua leadership che invece insegue vane se non dannose trattative che portano solo ad una resa incondizionata. Oggi la Palestina attraversa un momento molto difficile, la sua economia è legata e dipendente dagli aiuti stranieri. La tendenza alla normalizzazione sia da parte dell'Autorità Palestinese sia da parte del governo di Gaza mina il campo della resistenza".
Dal corteo di Torino quello che esce è la distanza tra le scelte del governo italiano e quelle di parte dell'opinione pubblica: "Negli ultimi anni i rapporti e le alleanze tra le reciproche dirigenze ed istituzioni si sono rafforzati, tutti i governi che si sono succeduti in Italia hanno dovuto 'far tappa' a Tel Aviv. Gli accordi hanno principalmente due obiettivi: favorire le borghesie attraverso il libero scambio commerciale e usare l'Italia come ponte per l'Europa di cui Israele non è membro, ma in cui riesce a trovare modi e forme per essere sempre presente ed estendere la sua influenza anche nell'ottica di mistificare la sua immagine di Paese tutt'altro che democratico".
Fonte: Nena News