LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

Sintesi

Circa 6,8 milioni di israeliani ebrei e 6,8 milioni di palestinesi vivono oggi tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano, un'area che comprende Israele e i Territori Palestinesi Occupati (TPO), questi ultimi composti dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e dalla Striscia di Gaza. In gran parte di quest'area, Israele è l'unica potenza di governo; nel resto, esercita l'autorità primaria accanto al limitato autogoverno palestinese. In queste aree e nella maggior parte degli aspetti della vita, le autorità israeliane privilegiano metodicamente gli israeliani ebrei e discriminano i palestinesi. Leggi, politiche e dichiarazioni di importanti funzionari israeliani chiariscono che l'obiettivo di mantenere il controllo ebraico israeliano su demografia, potere politico e territorio ha guidato a lungo la politica del governo. Nel perseguire questo obiettivo, le autorità hanno espropriato, confinato, separato con la forza e soggiogato i palestinesi in ragione della loro identità, a vari gradi di intensità. In alcune aree, come descritto in questo rapporto, queste deprivazioni sono così gravi da equivalere ai crimini contro l'umanità di apartheid e persecuzione.

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Israele e il territorio palestinese occupato da Israele, composto dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e dalla Striscia di Gaza, nonché dalle alture del Golan occupate da Israele © 2021 Human Rights Watch

Diverse supposizioni ampiamente condivise, tra cui che l'occupazione è temporanea, che il "processo di pace" porterà presto la fine agli abusi israeliani, che i palestinesi hanno un controllo significativo sulle loro vite in Cisgiordania e a Gaza e che Israele è una democrazia egualitaria all'interno dei suoi confini, hanno oscurato la realtà del radicato dominio discriminatorio di Israele sui palestinesi. Israele ha mantenuto il governo militare su una certa porzione della popolazione palestinese per tutti i suoi 73 anni di storia, tranne sei mesi. Lo ha fatto sulla stragrande maggioranza dei palestinesi all'interno di Israele dal 1948 e fino al 1966. Dal 1967 ad oggi, ha governato militarmente sui palestinesi nei TPO, esclusa Gerusalemme Est. Al contrario, sin dalla sua fondazione ha governato tutti gli israeliani ebrei, compresi i coloni nei TPO dall'inizio dell'occupazione nel 1967, nel quadro della sua legge civile più rispettosa dei diritti.

Negli ultimi 54 anni, le autorità israeliane hanno facilitato il trasferimento di israeliani ebrei nei territori occupati e concesso loro uno status superiore ai sensi della legge rispetto ai palestinesi che vivono nello stesso territorio quando si tratta di diritti civili, accesso alla terra e libertà di spostarsi, costruire e conferire diritti di residenza a parenti stretti. Mentre i palestinesi hanno un grado limitato di autogoverno in alcune parti dei TPO, Israele mantiene il controllo primario su confini, spazio aereo, movimento di persone e merci, sicurezza e sul registro dell'intera popolazione, che a sua volta determina questioni quali lo status legale e l’idoneità a ricevere carte d'identità.

Un certo numero di funzionari israeliani ha dichiarato chiaramente la loro intenzione di mantenere questo controllo per sempre e lo hanno sostenuto attraverso le loro azioni, inclusa la continua espansione degli insediamenti nel corso del pluridecennale "processo di pace". L'annessione unilaterale di parti aggiuntive della Cisgiordania, che il governo del Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha promesso di attuare, formalizzerebbe la realtà di dominazione e oppressione sistematiche di Israele che ha prevalso a lungo, senza cambiare la realtà che l'intera Cisgiordania è territorio occupato ai sensi del diritto internazionale sull’occupazione, compresa Gerusalemme Est, che Israele ha annesso unilateralmente nel 1967.

Il diritto penale internazionale ha stabilito due crimini contro l'umanità per situazioni di discriminazione e repressione sistematiche: l'apartheid e la persecuzione. I crimini contro l'umanità sono tra i crimini più odiosi del diritto internazionale.

La comunità internazionale nel corso degli anni ha separato il termine apartheid dal suo contesto originario sudafricano, ha sviluppato un divieto legale universale contro la sua pratica e lo ha riconosciuto come un crimine contro l'umanità con le definizioni fornite nella Convenzione internazionale sulla soppressione e la punizione del crimine di apartheid ("Convenzione sull'apartheid") del 1973 e lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (CPI) del 1998.

Il crimine contro l'umanità di persecuzione, stabilito anche nello Statuto di Roma, la privazione intenzionale e grave dei diritti fondamentali per motivi razziali, etnici e di altro tipo, è nato dai processi del secondo dopoguerra e costituisce uno dei più gravi crimini internazionali, della stessa gravità dell'apartheid.

Lo Stato di Palestina è uno Stato parte sia dello Statuto di Roma che della Convenzione sull'apartheid. Nel febbraio 2021, la CPI ha stabilito di avere giurisdizione su gravi crimini internazionali commessi nella totalità dei TPO, inclusa Gerusalemme Est, che includerebbero i crimini contro l'umanità di apartheid o persecuzione commessi in quel territorio. Nel marzo 2021, l'Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale ha annunciato l'apertura di un'indagine formale sulla situazione in Palestina.

Il termine apartheid è stato sempre più utilizzato in relazione a Israele e ai TPO, ma solitamente in un senso descrittivo o comparativo, non legale, e spesso per segnalare che la situazione stava andando nella direzione sbagliata. In particolare, funzionari israeliani, palestinesi, statunitensi ed europei, importanti commentatori dei media e altri hanno affermato che, se le politiche e le pratiche di Israele nei confronti dei palestinesi continuassero lungo la stessa traiettoria, la situazione, almeno in Cisgiordania, diventerebbe equivalente all’apartheid.(1) Alcuni hanno affermato che la realtà attuale equivale all'apartheid.(2) Pochi, tuttavia, hanno condotto un'analisi giuridica dettagliata basata sui crimini internazionali di apartheid o persecuzione.(3)

In questo rapporto, Human Rights Watch esamina la misura in cui tale soglia è già stata superata in alcune delle aree in cui le autorità israeliane esercitano il controllo.

Definizioni di apartheid e persecuzione

Il divieto di discriminazione istituzionalizzata, soprattutto su basi di razza o etnia, costituisce uno degli elementi fondamentali del diritto internazionale. La maggior parte degli stati ha concordato di trattare le peggiori forme di tale discriminazione, cioè persecuzione e apartheid, come crimini contro l'umanità, e ha dato alla CPI il potere di perseguire questi crimini quando le autorità nazionali non sono in grado o non sono intenzionati a perseguirli. I crimini contro l'umanità consistono di atti criminali specifici commessi come parte di un attacco diffuso o sistematico, o atti commessi in conseguenza di una politica statale o organizzativa, diretti contro una popolazione civile.

La Convenzione sull'apartheid definisce il crimine contro l'umanità di apartheid come "atti disumani commessi allo scopo di stabilire e mantenere il dominio di un gruppo razziale di persone su qualsiasi altro gruppo razziale di persone e di opprimerlo sistematicamente". Lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale adotta una definizione simile: "atti disumani ... commessi nel contesto di un regime istituzionalizzato di oppressione e dominio sistematici da parte di un gruppo razziale su qualsiasi altro gruppo o gruppi razziali e commessi con l'intenzione di mantenere quel regime". Lo Statuto di Roma non definisce ulteriormente cosa costituisce un "regime istituzionalizzato".

Il crimine di apartheid ai sensi della Convenzione sull'apartheid e dello Statuto di Roma consiste di tre elementi primari: un intento di mantenere un sistema di dominio di un gruppo razziale su un altro; l’oppressione sistematica da parte di un gruppo razziale nei confronti di un altro; e uno o più atti disumani, come definiti, compiuti su base diffusa o sistematica in conseguenza di tali politiche.

Tra gli atti disumani identificati nella Convenzione o nello Statuto di Roma vi sono il "trasferimento forzato", "l'espropriazione della proprietà fondiaria", "la creazione di riserve e ghetti separati" e la negazione del "diritto di partire e di tornare nel proprio paese, (e) il diritto a una nazionalità."

Lo Statuto di Roma identifica il crimine contro l'umanità di persecuzione come "la privazione intenzionale e grave di diritti fondamentali contrari al diritto internazionale in ragione dell'identità del gruppo o della collettività", anche su basi razziali, nazionali o etniche. Il diritto internazionale consuetudinario identifica il crimine di persecuzione come costituito da due elementi primari: (1) gravi abusi dei diritti fondamentali commessi su base diffusa o sistematica e (2) con intento discriminatorio.

Pochi tribunali hanno esaminato casi riguardanti il crimine di persecuzione e nessuno il crimine di apartheid, con conseguente mancanza di giurisprudenza sui significati dei termini chiave nelle loro definizioni. Come descritto nel rapporto, negli ultimi due decenni i tribunali penali internazionali hanno valutato l'identità di gruppo sulla base del contesto e della costruzione da parte degli attori locali, in contrasto con i precedenti approcci incentrati sui tratti fisici ereditari. Nel diritto internazionale relativo ai diritti umani, inclusa la Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (ICERD), la razza e la discriminazione razziale sono state ampiamente interpretate in modo da includere distinzioni basate sulla discendenza e l'origine nazionale o etnica, tra le altre categorie.

Applicazione alle politiche di Israele nei confronti dei palestinesi

Due gruppi principali vivono oggi in Israele e nei TPO: israeliani ebrei e palestinesi. Un sovrano principale, il governo israeliano, governa su di loro.

Intento di mantenere il dominio

Un obiettivo dichiarato del governo israeliano è garantire che gli israeliani ebrei mantengano il dominio in Israele e nei TPO. La Knesset nel 2018 ha approvato una legge con status costituzionale che proclama Israele come lo “stato nazionale del popolo ebraico", dichiarando che all'interno di quel territorio, il diritto all'autodeterminazione "è unico per il popolo ebraico" e stabilendo "l'insediamento ebraico" come valore nazionale. Per sostenere il controllo israeliano ebraico, le autorità israeliane hanno adottato politiche volte a mitigare ciò che hanno apertamente descritto come una "minaccia" demografica rappresentata dai palestinesi. Tali politiche includono la limitazione della popolazione e del potere politico dei palestinesi, garantendo il diritto di voto solo ai palestinesi che vivono all'interno dei confini di Israele così come sono esistiti dal 1948 al giugno 1967, e la limitazione della possibilità dei palestinesi di trasferirsi dai TPO in Israele e da qualsiasi altra parte in Israele o nei TPO. Altre misure sono prese per garantire la dominazione ebraica, inclusa una politica statale di "separazione" dei palestinesi tra la Cisgiordania e Gaza, che impedisce il movimento di persone e merci all'interno dei TPO, e la "giudaizzazione" di aree con significative popolazioni palestinesi, incluso Gerusalemme oltre alla Galilea e al Negev in Israele. Questa politica, che mira a massimizzare il controllo israeliano ebraico sulla terra, concentra la maggior parte dei palestinesi che vivono al di fuori delle principali città israeliane, prevalentemente ebraiche, in enclave dense e poco servite e limita il loro accesso alla terra e alle abitazioni, alimentando la crescita delle vicine comunità ebraiche.

Oppressione sistematica e discriminazione istituzionale

Per attuare l'obiettivo del dominio, il governo israeliano discrimina istituzionalmente i palestinesi. L'intensità di tale discriminazione varia in base alle diverse regole stabilite dal governo israeliano in Israele, da un lato, e alle diverse parti dei TPO, dall'altro, dove si verifica la forma più grave.

Nei TPO, che Israele ha riconosciuto come un unico territorio che comprende la Cisgiordania e Gaza, le autorità israeliane trattano i palestinesi separatamente e in modo ineguale rispetto ai coloni israeliani ebrei. Nella Cisgiordania occupata, Israele sottopone i palestinesi a leggi militari draconiane e impone la segregazione, vietando fondamentalmente ai palestinesi di entrare negli insediamenti. Nella Striscia di Gaza assediata, Israele impone una chiusura generalizzata, restringendo drasticamente il movimento di persone e merci - politiche che l'altro vicino di Gaza, l'Egitto, spesso fa poco per alleviare. Nell'annessa Gerusalemme Est, che Israele considera parte del suo territorio sovrano, ma rimane territorio occupato secondo il diritto internazionale, Israele fornisce alla stragrande maggioranza delle centinaia di migliaia di palestinesi che vivono lì uno status legale che indebolisce i loro diritti di residenza condizionandoli ai legami dell'individuo con la città, tra gli altri fattori. Questo livello di discriminazione equivale a un'oppressione sistematica.

In Israele, che la stragrande maggioranza delle nazioni considera essere l'area definita dai suoi confini precedenti al 1967, la struttura di cittadinanza a due livelli e la biforcazione di nazionalità e cittadinanza fanno sì che i cittadini palestinesi abbiano uno status inferiore ai cittadini ebrei per legge. Mentre i palestinesi in Israele, a differenza di quelli nei TPO, hanno il diritto di votare e candidarsi alle elezioni israeliane, questi diritti non li mettono nelle condizioni di superare la discriminazione istituzionale che affrontano da parte dello stesso governo israeliano, comprese estese restrizioni all'accesso alla terra loro confiscata, demolizioni di case e divieti effettivi di ricongiungimento familiare.

La frammentazione della popolazione palestinese, in parte deliberatamente progettata attraverso restrizioni israeliane al movimento e alla residenza, promuove l'obiettivo del dominio e aiuta a oscurare la realtà dello stesso governo israeliano che reprime lo stesso gruppo di popolazione palestinese, a vari livelli in diverse aree, per il beneficio dello stesso gruppo dominante israeliano ebraico.

Atti disumani e altri abusi dei diritti fondamentali

In conseguenza di queste politiche, le autorità israeliane hanno compiuto una serie di atti disumani nei TPO. Questi includono ampie restrizioni al movimento di 4,7 milioni di palestinesi lì; la confisca di gran parte della loro terra; l'imposizione di condizioni dure, inclusa la negazione categorica dei permessi di costruzione in gran parte della Cisgiordania, che ha portato migliaia di palestinesi a lasciare le loro case sotto condizioni che equivalgono a un trasferimento forzato; la negazione del diritto di residenza a centinaia di migliaia di palestinesi e ai loro parenti, in gran parte per essere stati all'estero quando iniziò l'occupazione nel 1967, o per lunghi periodi durante i primi decenni di occupazione, o come risultato dell'effettivo congelamento del ricongiungimento familiare negli ultimi due decenni; e la sospensione dei diritti civili fondamentali, come la libertà di riunione e associazione, privando i palestinesi dell'opportunità di avere voce in una vasta gamma di questioni che maggiormente influenzano la loro vita quotidiana e il loro futuro. Molti di questi abusi, tra cui negazioni categoriche di permessi edilizi, revoche o restrizioni di massa alla residenza e confische su vasta scala di terreni, non hanno giustificazioni di sicurezza legittime; altri, come l'ampiezza delle restrizioni alla circolazione e ai diritti civili, non superano qualsiasi ragionevole valutazione comparata tra i problemi di sicurezza e la gravità dell'abuso dei diritti sottostanti.

Dalla fondazione dello stato di Israele, il governo ha anche sistematicamente discriminato e violato i diritti dei palestinesi all'interno dei confini dello stato precedenti al 1967, anche rifiutando di consentire ai palestinesi l'accesso ai milioni di dunam di terra (1000 dunam equivalgono a 100 ettari, circa 250 acri o 1 chilometro quadrato) che erano stati loro confiscati. In una regione – il Negev – queste politiche rendono praticamente impossibile a decine di migliaia di palestinesi di vivere legalmente nelle comunità in cui hanno vissuto per decenni. Inoltre, le autorità israeliane rifiutano di consentire agli oltre 700.000 palestinesi che sono fuggiti o sono stati espulsi nel 1948, e ai loro discendenti, di tornare in Israele o nei TPO, e impongono restrizioni generali alla residenza legale, che impediscono a molti coniugi e famiglie palestinesi di vivere insieme in Israele.

Risultati del rapporto

Questo rapporto esamina le politiche e le pratiche israeliane nei confronti dei palestinesi nei TPO e in Israele e le confronta con il trattamento degli israeliani ebrei che vivono negli stessi territori. Non è una valutazione esaustiva di tutti i tipi di violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario. Piuttosto, esamina le consequenziali pratiche e politiche del governo israeliano che violano i diritti fondamentali dei palestinesi e il cui scopo è garantire il dominio degli israeliani ebrei e li valuta rispetto alle definizioni dei crimini contro l'umanità di apartheid e persecuzione.

Il rapporto si basa su anni di ricerca e documentazione da parte di Human Rights Watch e altre organizzazioni per i diritti, compreso il lavoro sul campo condotto per questo rapporto. Human Rights Watch ha anche esaminato leggi israeliane, documenti di programmazione del governo, dichiarazioni di funzionari e registri catastali. Questo materiale probatorio è stato poi analizzato in base alle norme giuridiche relative ai crimini di apartheid e persecuzione. Human Rights Watch ha anche scritto nel luglio 2020 al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sollecitando le posizioni del governo sulle questioni trattate, ma, al momento della pubblicazione, non aveva ricevuto risposta.

Il rapporto non si propone di confrontare Israele con il Sudafrica durante l'apartheid o di determinare se Israele è uno "stato di apartheid", un concetto che non è definito nel diritto internazionale. Piuttosto, il rapporto valuta se atti e politiche specifici attuate dalle autorità israeliane oggi equivalgono, in particolari aree, ai crimini di apartheid e persecuzione come definiti dal diritto internazionale.

Ciascuno dei tre principali capitoli sostanziali del rapporto esplora il dominio di Israele sui palestinesi: le dinamiche del suo dominio e della sua discriminazione, guardando a turno a Israele e ai TPO, i particolari abusi dei diritti che commette lì e alcuni degli obiettivi che motivano queste politiche. Lo fa con riferimento agli elementi principali dei crimini di apartheid e persecuzione, come indicato sopra. Human Rights Watch valuta le dinamiche del governo israeliano in ciascuna di queste aree, tenendo presente i diversi quadri giuridici che si applicano nei TPO e in Israele, che sono le due entità territoriali legalmente riconosciute, ciascuna con uno status diverso ai sensi del diritto internazionale. Pur rilevando differenze fattuali significative tra sotto-regioni in ciascuno di questi due territori, il rapporto non effettua determinazioni sub-regionali separate.

Sulla base della sua ricerca, Human Rights Watch conclude che il governo israeliano ha dimostrato un intento di mantenere il dominio degli israeliani ebrei sui palestinesi in Israele e nei TPO. Nei TPO, compresa Gerusalemme Est, quell'intento è sommato all’oppressione sistematica dei palestinesi e ad atti disumani commessi contro di loro. Quando questi tre elementi si verificano insieme, equivalgono al crimine di apartheid.

I funzionari israeliani hanno anche commesso il crimine contro l'umanità di persecuzione. Queste conclusioni si basano sull'intento discriminatorio dietro il trattamento di Israele nei confronti dei palestinesi e sui gravi abusi compiuti nei TPO che includono la confisca diffusa di terreni di proprietà privata, il divieto effettivo di costruire o vivere in molte aree, la negazione in massa dei diritti di residenza, e ampie restrizioni pluridecennali alla libertà di movimento e ai diritti civili fondamentali. Tali politiche e pratiche privano intenzionalmente e gravemente milioni di palestinesi dei diritti fondamentali imprescindibili, inclusi quelli di residenza, proprietà privata e accesso alla terra, ai servizi e alle risorse, su base diffusa e sistematica in ragione della loro identità di palestinesi.

Alla ricerca della massima terra con il minimo di palestinesi

La politica israeliana ha cercato di progettare e massimizzare il numero di ebrei, così come la terra a loro disposizione, in Israele e in porzioni dei TPO ambite dal governo israeliano per l’insediamento ebraico. Allo stesso tempo, limitando i diritti di residenza dei palestinesi, la politica israeliana cerca di ridurre al minimo il numero di palestinesi e la terra a loro disposizione in quelle aree. Il livello di repressione è più grave nei TPO, sebbene spesso all'interno di Israele si possano riscontrare aspetti meno gravi di politiche simili.

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In Cisgiordania, le autorità hanno confiscato più di 2 milioni di dunam di terra ai palestinesi, che costituiscono più di un terzo della Cisgiordania, comprese decine di migliaia di dunam che riconoscono essere di proprietà privata di palestinesi. Una tattica comune che hanno usato è dichiarare il territorio, inclusa la terra palestinese di proprietà privata, come "terra statale". Il gruppo israeliano Peace Now stima che il governo israeliano abbia designato circa 1,4 milioni di dunam di terra, o circa un quarto della Cisgiordania, come terra statale. Il gruppo ha anche scoperto che più del 30 per cento della terra utilizzata per gli insediamenti è riconosciuta dal governo israeliano come proprietà privata di palestinesi. Degli oltre 675.000 dunam di terra statale che le autorità israeliane hanno assegnato per l'uso da parte di terzi in Cisgiordania, secondo i dati del governo, hanno destinato oltre il 99 per cento per l'uso da parte dei civili israeliani. L'accaparramento di terre per gli insediamenti e le infrastrutture che servono principalmente i coloni concentrano efficacemente i palestinesi in Cisgiordania, secondo B'Tselem, in "165 ‘isole territoriali’ non contigue".

Le autorità israeliane hanno anche reso praticamente impossibile per i palestinesi dell'Area C, circa il 60 per cento della Cisgiordania che gli accordi di Oslo hanno posto sotto il pieno controllo israeliano, così come per quelli di Gerusalemme Est, ottenere permessi di costruzione. Nell'area C, ad esempio, le autorità hanno approvato meno dell'1,5% delle richieste di costruzione da parte dei palestinesi tra il 2016 e il 2018 – 21 in totale – una cifra 100 volte inferiore al numero di ordini di demolizione emessi nello stesso periodo, secondo i dati ufficiali. Le autorità israeliane hanno raso al suolo migliaia di proprietà palestinesi in queste aree per mancanza di un permesso, lasciando migliaia di famiglie sfollate. Al contrario, secondo Peace Now, le autorità israeliane hanno iniziato la costruzione di oltre 23.696 unità abitative tra il 2009 e il 2020 negli insediamenti israeliani nell'Area C. Il trasferimento della popolazione civile di una potenza occupante in un territorio occupato viola la Quarta Convenzione di Ginevra.

Queste politiche hanno origine da piani del governo israeliano di vecchia data. Ad esempio, il Piano Drobles del 1980, che all'epoca guidava la politica di insediamento del governo in Cisgiordania e si basava su piani precedenti, chiedeva alle autorità di "insediarsi nel territorio tra i centri abitati della minoranza (araba) e i loro dintorni", osservando che, così facendo, si sarebbe reso "difficile per i palestinesi creare contiguità territoriale e unità politica" e si sarebbe "rimosso ogni traccia di dubbio sulla nostra intenzione di controllare per sempre la Giudea e la Samaria".

A Gerusalemme, il piano del governo per la municipalità, che include sia l'ovest che l’est occupato della città, pone l'obiettivo di "mantenere una solida maggioranza ebraica nella città" e un target demografico "rapporto di 70% ebrei e 30% arabi" — più tardi modificato a un rapporto 60:40 dopo che le autorità hanno riconosciuto che "questo obiettivo non è raggiungibile" alla luce della "tendenza demografica".

Il governo israeliano ha anche effettuato confische discriminatorie di terra all'interno di Israele. Le autorità hanno confiscato attraverso diversi meccanismi almeno 4,5 milioni di dunam di terra ai palestinesi, secondo gli storici, che costituivano dal 65% al 75% di tutta la terra di proprietà dei palestinesi prima del 1948 e dal 40 al 60 percento della terra che apparteneva ai palestinesi rimasti dopo il 1948 e sono diventati cittadini di Israele. Le autorità nei primi anni dello stato dichiararono la terra appartenente agli sfollati palestinesi come "proprietà di assenti" o "zone militari chiuse", poi ne presero il controllo, la convertirono in terra statale e vi costruirono comunità ebraiche. Le autorità continuano a impedire ai proprietari terrieri palestinesi di accedere alla terra che è stata loro confiscata. Un rapporto commissionato dal governo del 2003 ha rilevato che "le attività di esproprio erano chiaramente ed esplicitamente sfruttate per gli interessi della maggioranza ebraica" e che le terre statali, che costituiscono il 93 per cento di tutta la terra in Israele, servono effettivamente l'obiettivo dell’"insediamento ebraico". Dal 1948, il governo ha autorizzato la creazione di più di 900 "località ebraiche" in Israele, ma ha consentito solo una manciata di township e villaggi pianificati dal governo per i palestinesi, creati in gran parte per concentrare le comunità beduine precedentemente sfollate che vivono nel Negev.

Le confische della terra e altre politiche discriminatorie relative alla terra in Israele accerchiano le municipalità palestinesi all'interno di Israele, negando loro le opportunità di espansione naturale di cui godono le municipalità ebraiche. La stragrande maggioranza dei cittadini palestinesi, che costituiscono circa il 19% della popolazione israeliana, vive in queste municipalità, che hanno una giurisdizione stimata su meno del 3% di tutta la terra in Israele. Mentre i palestinesi in Israele possono muoversi liberamente, e alcuni vivono in "città miste", come Haifa, Tel Aviv-Jaffa e Acre, la legge israeliana consente alle piccole città di escludere potenziali residenti in base alla loro asserita incompatibilità con il “tessuto socio-culturale" della città. Secondo uno studio di un professore del Technion-Israel Institute of Technology di Haifa, ci sono più di 900 piccole città ebraiche, compresi i kibbutzim, in tutto Israele che possono limitare chi ci vive. Nessuna di loro ha palestinesi che ci vivono.

Nel Negev, in Israele, le autorità israeliane si sono rifiutate di riconoscere legalmente 35 comunità beduine palestinesi, rendendo impossibile ai loro circa 90.000 residenti vivere legalmente nelle comunità in cui hanno vissuto per decenni. Invece, le autorità hanno cercato di concentrare le comunità beduine in più grandi township riconosciute al fine di massimizzare la terra disponibile per le comunità ebraiche, come espresso nei piani governativi e nelle dichiarazioni di funzionari. La legge israeliana considera illegali tutti gli edifici in questi villaggi non riconosciuti e le autorità si sono rifiutate di collegare la maggior parte alle reti elettriche o idriche nazionali o di fornire perfino infrastrutture di base come strade asfaltate o sistemi fognari. Le comunità non compaiono sulle mappe ufficiali, la maggior parte non ha strutture educative, e i residenti vivono sotto la costante minaccia di vedere demolite le loro case. Le autorità israeliane hanno demolito più di 10.000 case beduine nel Negev tra il 2013 e il 2019, secondo i dati del governo. Hanno raso al suolo un villaggio non riconosciuto che ha contestato l'espropriazione delle sue terre, al-Araqib, 185 volte.

Le autorità hanno implementato queste politiche in forza di piani del governo sin dai primi anni dello stato che chiedevano di porre un limite alle comunità beduine al fine di garantire terra idonea ad insediare degli ebrei. Diversi mesi prima di diventare primo ministro nel dicembre 2000, Ariel Sharon ha dichiarato che i beduini nel Negev "stanno rosicchiando le riserve di terra del paese", che ha descritto come "un fenomeno demografico". Come primo ministro, Sharon ha continuato a perseguire un piano multimiliardario che cercava apertamente di aumentare la popolazione ebraica nelle regioni israeliane del Negev e della Galilea, aree che hanno popolazioni palestinesi significative. Il suo vice primo ministro, Shimon Peres, ha successivamente descritto il piano come una "battaglia per il futuro del popolo ebraico".

La pressione di Sharon per giudaizzare il Negev, così come la Galilea, si è sviluppata sullo sfondo della decisione del governo di ritirare i coloni ebrei da Gaza. Dopo aver posto fine agli insediamenti ebraici lì, Israele iniziò a trattare Gaza efficacemente come una giurisdizione territoriale la cui popolazione poteva essere considerata al di fuori del calcolo demografico di ebrei e palestinesi che vivono in Israele e nella stragrande maggioranza dei TPO - la Cisgiordania compresa Gerusalemme Est - che Israele intende mantenere. I funzionari israeliani dell'epoca hanno riconosciuto gli obiettivi demografici alla base della mossa. In mezzo alla pressione per ritirare i coloni da Gaza, Sharon ha detto in un discorso agli israeliani nell'agosto 2005: “Gaza non può essere tenuta per sempre. Più di un milione di palestinesi vivono lì e raddoppiano il loro numero ad ogni generazione". Peres ha detto lo stesso mese “ci disimpegniamo da Gaza per ragioni demografiche”.

Nonostante il ritiro dei suoi coloni e delle truppe di terra, Israele è rimasto in modo sostanziale il potere supremo a Gaza, dominando con altri mezzi e quindi mantenendo i suoi obblighi legali come potenza occupante, come il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) e le Nazioni Unite (ONU), tra gli altri, hanno determinato. Più significativamente, Israele vieta ai palestinesi che vivono lì (con solo limitate eccezioni) di uscire attraverso il valico passeggeri di Erez che controlla e ha istituito una "politica di separazione" formale tra Gaza e la Cisgiordania, nonostante Israele abbia riconosciuto nel quadro degli accordi di Oslo queste due parti dei TPO come una "singola unità territoriale". Il divieto di viaggio generalizzato, che è rimasto in vigore dal 2007 e ha ridotto i viaggi da Gaza a una frazione di quello che era due decenni fa, non è basato su una valutazione individuale di rischio per la sicurezza e non supera qualsiasi ragionevole valutazione comparata tra preoccupazioni per la sicurezza e diritto alla libertà di movimento per oltre 2 milioni di persone.

Le autorità hanno anche fortemente limitato l'entrata e l'uscita di merci da e verso Gaza, cosa che, insieme all'Egitto che spesso chiude il suo confine, la isola di fatto dal mondo esterno. Queste restrizioni hanno contribuito a limitare l'accesso ai servizi di base, a devastare l'economia e a rendere l'80% della popolazione dipendente dagli aiuti umanitari. Le famiglie a Gaza negli ultimi anni hanno dovuto fare a meno dell'elettricità fornita centralmente dalle 12 alle 20 ore al giorno, a seconda del periodo. Anche l'acqua è estremamente scarsa; le Nazioni Unite considerano più del 96 per cento dell'approvvigionamento idrico a Gaza "inadatto al consumo umano".

Anche all'interno della Cisgiordania, le autorità israeliane vietano ai titolari di documenti di identità palestinesi di entrare in aree come Gerusalemme Est, in terre oltre la barriera di separazione e in aree controllate dagli insediamenti e dall'esercito, a meno che non si assicurino dei permessi difficili da ottenere. Hanno anche eretto quasi 600 ostacoli permanenti, molti tra le comunità palestinesi, che sconvolgono la vita quotidiana dei palestinesi. In netto contrasto, le autorità israeliane consentono ai coloni ebrei in Cisgiordania di muoversi liberamente all'interno della maggior parte della Cisgiordania sotto il loro controllo esclusivo, così come da e verso Israele, su strade costruite per facilitare i loro spostamenti e integrarli in ogni aspetto di vita israeliana.

Le considerazioni demografiche hanno un ruolo centrale nella politica israeliana di separazione tra Gaza e Cisgiordania. In particolare, nei rari casi in cui consentono il movimento tra le due parti dei TPO, le autorità israeliane lo consentono prevalentemente in direzione di Gaza, facilitando così il flusso di popolazione fuori dall'area in cui Israele promuove attivamente l'insediamento ebraico. La politica ufficiale dell'esercito israeliano afferma che mentre un residente in Cisgiordania può fare domanda "per il reinsediamento permanente nella Striscia di Gaza per qualsiasi scopo considerato umanitario (di solito il ricongiungimento familiare)", i residenti di Gaza possono stabilirsi in Cisgiordania solo "nei casi più rari", solitamente correlati al ricongiungimento familiare. In questi casi, le autorità hanno il mandato di puntare a reinsediare la coppia a Gaza. Dati ufficiali mostrano come Israele non abbia mai approvato che un abitante di Gaza si trasferisse in Cisgiordania a parte un numero limitato di persone che fecero una petizione alla Corte Suprema tra il 2009 e il marzo 2017, mentre Israele ha permesso che diverse decine di residenti della Cisgiordania si trasferissero a Gaza a condizione che firmassero un impegno a non ritornare in Cisgiordania.

Al di là della politica di chiusura, le autorità israeliane hanno spesso utilizzato mezzi oppressivi e indiscriminati durante le ostilità e le proteste a Gaza. Dal 2008, l'esercito israeliano ha lanciato tre offensive militari su larga scala a Gaza nel contesto delle ostilità con gruppi armati palestinesi. Come descritto nel rapporto, quelle offensive hanno incluso attacchi evidentemente deliberati contro civili e infrastrutture civili e hanno ucciso ben oltre 2.000 civili. Inoltre, le forze israeliane hanno regolarmente sparato contro manifestanti palestinesi e altri che si sono avvicinati alle barriere che separano Gaza e Israele in circostanze in cui non rappresentavano una minaccia imminente per la vita, uccidendo 214 manifestanti e mutilandone migliaia solo nel 2018 e nel 2019 . Queste pratiche derivano da un modello pluridecennale di uso della forza eccessivo e enormemente sproporzionato per sedare proteste e disordini, a caro prezzo per i civili. Nonostante la frequenza di tali incidenti nel corso degli anni, le autorità israeliane non sono riuscite a sviluppare tattiche di applicazione della legge conformi alle norme internazionali sui diritti umani.

Restrizioni discriminatorie su residenza e nazionalità

I palestinesi affrontano restrizioni discriminatorie sui loro diritti di residenza e nazionalità a vari livelli nei TPO e in Israele. Le autorità israeliane hanno usato il loro controllo sul registro della popolazione in Cisgiordania e Gaza – l'elenco dei palestinesi che considerano residenti legittimi ai fini del rilascio dello status legale e delle carte d'identità – per negare la residenza a centinaia di migliaia di palestinesi. Le autorità israeliane si sono rifiutate di registrare almeno 270.000 palestinesi che si trovavano fuori dalla Cisgiordania e da Gaza quando iniziò l'occupazione nel 1967 e hanno revocato la residenza di quasi 250.000, principalmente per essere stati all'estero per troppo tempo tra il 1967 e il 1994. Dal 2000, le autorità israeliane hanno in gran parte rifiutato di esaminare le domande di ricongiungimento familiare o richieste di cambio di indirizzo da parte dei palestinesi in Cisgiordania e a Gaza. Il congelamento impedisce di fatto ai palestinesi di acquisire uno status legale per coniugi o parenti non già registrati e rende illegale, secondo l'esercito israeliano, la presenza in Cisgiordania di migliaia di residenti di Gaza che sono arrivati con permessi temporanei e ora vivono lì, poiché effettivamente non possono cambiare il loro indirizzo con uno in Cisgiordania. Queste restrizioni hanno l'effetto di limitare la popolazione palestinese in Cisgiordania.

Le autorità negano regolarmente l'ingresso in Cisgiordania ai palestinesi non registrati che avevano vissuto in Cisgiordania ma se ne erano andati temporaneamente (per studiare, lavorare, sposarsi o per altri motivi) e ai loro coniugi e altri membri della famiglia non registrati.

Quando Israele ha annesso Gerusalemme Est nel 1967, ha applicato la sua Legge di Ingresso del 1952 ai Palestinesi che vivevano lì e li ha designati come "residenti permanenti", lo stesso status concesso a uno straniero non ebreo che si trasferisce in Israele. Il ministero dell'Interno ha revocato questo status ad almeno 14.701 palestinesi dal 1967, principalmente per non essersi riusciti a dimostrare un "centro della vita" in città. Esiste un percorso verso la cittadinanza israeliana, ma pochi fanno richiesta e alla maggior parte di coloro che l'hanno fatto negli ultimi anni non è stata concessa la cittadinanza. Al contrario, gli ebrei israeliani a Gerusalemme, compresi i coloni a Gerusalemme Est, sono cittadini che non devono dimostrare di essere collegati alla città per mantenere il loro status.

All'interno di Israele, la Proclamazione d'Indipendenza di Israele afferma la "completa uguaglianza" di tutti i residenti, ma una struttura di cittadinanza a due binari contraddice quel pronunciamento e tratta ebrei e palestinesi in modo separato e diseguale. La legge israeliana sulla cittadinanza del 1952 contiene un percorso separato esclusivamente per gli ebrei per ottenere la cittadinanza automatica. Quella legge nasce dalla Legge del Ritorno del 1950 che garantisce ai cittadini ebrei di altri paesi il diritto di stabilirsi in Israele. Al contrario, il percorso per i palestinesi condiziona la cittadinanza alla dimostrazione di residenza prima del 1948 nel territorio che divenne Israele, l'inclusione nel registro della popolazione a partire dal 1952 e una presenza continua in Israele o un ingresso legale nel periodo tra il 1948 e il 1952. Le autorità hanno utilizzato queste formulazioni per negare il diritto di residenza a più di 700.000 palestinesi fuggiti o espulsi nel 1948 e ai loro discendenti, che oggi sono più di 5,7 milioni. Questa legge crea una realtà in cui un cittadino ebreo di qualsiasi altro paese che non è mai stato in Israele può trasferirsi lì e ottenere automaticamente la cittadinanza, mentre un palestinese espulso dalla sua casa e lasciato a languire da più di 70 anni in un campo profughi in un paese vicino, non può.

La legge sulla cittadinanza del 1952 autorizza anche la concessione della cittadinanza basata sulla naturalizzazione. Tuttavia, nel 2003, la Knesset ha approvato la legge sulla cittadinanza e l'ingresso in Israele (ordine temporaneo), che vieta la concessione della cittadinanza israeliana o dello status legale a lungo termine ai palestinesi della Cisgiordania e di Gaza che sposano cittadini o residenti israeliani. Con poche eccezioni, questa legge, rinnovata ogni anno da allora e confermata dalla Corte Suprema israeliana, nega a cittadini e residenti sia ebrei e che palestinesi di Israele che scelgono di sposare palestinesi il diritto di vivere con il loro partner in Israele. Questa restrizione, basata esclusivamente sull'identità del coniuge come palestinese della Cisgiordania o di Gaza, in particolare non si applica quando gli israeliani sposano coniugi non ebrei della maggior parte delle altre nazionalità straniere. Possono ricevere lo status immediato e, dopo diversi anni, richiedere la cittadinanza.

Commentando un rinnovo della legge nel 2005, il primo ministro dell'epoca, Ariel Sharon, disse: “Non c'è bisogno di nascondersi dietro le argomentazioni sulla sicurezza. C'è il bisogno dell'esistenza di uno stato ebraico". Benjamin Netanyahu, che allora era il ministro delle finanze, ha detto durante le discussioni in quel momento: "Invece di renderlo più facile per i palestinesi che vogliono ottenere la cittadinanza, dovremmo rendere il processo molto più difficile, al fine di garantire la sicurezza di Israele e una maggioranza ebraica in Israele." Nel marzo 2019, questa volta come primo ministro, Netanyahu ha dichiarato: "Israele non è uno stato di tutti i suoi cittadini", ma piuttosto "lo stato-nazione degli ebrei e solo loro".

Il diritto internazionale sui diritti umani offre ampia discrezionalità ai governi nella definizione delle loro politiche di immigrazione. Non c'è nulla nel diritto internazionale che impedisca a Israele di promuovere l'immigrazione ebraica. Gli israeliani ebrei, molti dei quali storicamente migrati nella Palestina del Mandato o successivamente in Israele per sfuggire alla persecuzione antisemita in diverse parti del mondo, hanno diritto alla protezione della loro sicurezza e dei loro diritti fondamentali. Tuttavia, tale discrezionalità non conferisce a uno stato la prerogativa di discriminare le persone che già vivono in quel paese, anche per quanto riguarda i diritti relativi al ricongiungimento familiare, e le persone che hanno il diritto di tornare nel paese. I palestinesi hanno anche diritto alla protezione della loro sicurezza e dei loro diritti fondamentali.

Giustificazioni israeliane di politiche e pratiche

Le autorità israeliane giustificano molte delle politiche documentate in questo rapporto come risposte alla violenza anti-israeliana dei palestinesi. Molte politiche, tuttavia, come la negazione dei permessi di costruzione nell'Area C, Gerusalemme Est e nel Negev in Israele, la revoca della residenza per gli abitanti di Gerusalemme o l'espropriazione di terreni di proprietà privata e l'assegnazione discriminatoria di terre statali, non hanno una legittima giustificazione di sicurezza. Altre, tra cui la legge sulla cittadinanza e l'ingresso in Israele e il congelamento del registro della popolazione dei TPO, usano la sicurezza come pretesto per promuovere obiettivi demografici.

Le autorità israeliane affrontano legittime sfide alla sicurezza in Israele e nei TPO. Tuttavia, le restrizioni che non cercano di bilanciare i diritti umani come la libertà di movimento con le legittime preoccupazioni di sicurezza, ad esempio conducendo valutazioni di sicurezza personalizzate piuttosto che impedire all'intera popolazione di Gaza di partire con solo rare eccezioni, vanno ben oltre ciò che il diritto internazionale permette. Anche laddove la sicurezza fa parte della motivazione alla base di una particolare politica, ciò non dà a Israele carta bianca per violare i diritti umani in massa. Legittime preoccupazioni per la sicurezza possono essere presenti tra le politiche che equivalgono all'apartheid, così come possono essere presenti in una politica che sanziona l'uso di forza eccessiva o della tortura.

I funzionari a volte affermano che le misure adottate nei TPO sono temporanee e sarebbero revocate nel contesto di un accordo di pace. Dall'ex primo ministro Levi Eshkol, del partito laburista, che dichiarò nel luglio 1967 "vedo solo una regione quasi indipendente (per i palestinesi), perché la sicurezza e la terra sono nelle mani di Israele", a Netanyahu del Likud che nel luglio 2019 affermò "le forze militari e di sicurezza israeliane continueranno a governare l'intero territorio, fino al Giordano (fiume)", una serie di funzionari ha chiarito la loro intenzione di mantenere il controllo prevalente sulla Cisgiordania in perpetuo, indipendentemente dagli accordi in atto per governare i palestinesi. Le loro azioni e politiche dissipano ulteriormente l'idea che le autorità israeliane considerino l'occupazione temporanea, inclusa la continuazione della confisca delle terre, la costruzione della barriera di separazione in una maniera che consente la crescita prevista degli insediamenti, l’integrazione senza soluzione di continuità del sistema fognario, delle reti di comunicazione, delle reti elettriche, delle infrastrutture idriche degli insediamenti e di una matrice di strade con Israele propriamente detto, nonché un crescente corpo di leggi applicabili ai coloni israeliani della Cisgiordania ma non ai palestinesi. La possibilità che un futuro leader israeliano possa stringere un accordo con i palestinesi che smantelli il sistema discriminatorio e ponga fine alla repressione sistematica non nega l'intento degli attuali funzionari di mantenere il sistema attuale, né l'attuale realtà di apartheid e persecuzione.

Raccomandazioni

Il governo israeliano dovrebbe smantellare tutte le forme di dominazione e oppressione sistematiche che privilegiano gli israeliani ebrei e reprimono sistematicamente i palestinesi e porre fine alla persecuzione dei palestinesi. In particolare, le autorità dovrebbero porre fine a politiche e pratiche discriminatorie per quanto riguarda i diritti di cittadinanza e residenza, i diritti civili, la libertà di movimento, l'allocazione di terreni e risorse, l'accesso all'acqua, all'elettricità e ad altri servizi e la concessione di permessi di costruzione.

Le conclusioni secondo cui si stanno commettendo crimini di apartheid e persecuzione non negano la realtà dell'occupazione israeliana né cancellano gli obblighi di Israele ai sensi della legge sull’occupazione, più di quanto lo farebbero delle conclusioni secondo cui siano stati commessi altri crimini contro l'umanità o crimini di guerra. In quanto tali, le autorità israeliane dovrebbero cessare di costruire insediamenti e smantellare quelli esistenti e diversamente fornire ai palestinesi in Cisgiordania e a Gaza il pieno rispetto dei loro diritti umani, utilizzando come punto di riferimento i diritti che concede ai cittadini israeliani, così come le protezioni che il diritto internazionale umanitario concede loro.

L'Autorità Palestinese (AP) dovrebbe porre fine alle forme di coordinamento della sicurezza con l'esercito israeliano che contribuiscono ad agevolare i crimini contro l'umanità di apartheid e persecuzione.

Le risultanze di crimini contro l'umanità dovrebbe spingere la comunità internazionale a riesaminare il suo approccio a Israele e Palestina. Gli Stati Uniti, che per decenni hanno in gran parte omesso di esercitare pressioni sul governo israeliano per porre fine alla sua repressione sistematica dei palestinesi, in alcuni casi negli ultimi anni hanno segnalato il loro sostegno a gravi abusi come la costruzione di insediamenti nella Cisgiordania occupata. Molti stati europei e altri stati, hanno costruito stretti legami con Israele, mentre sostenevano il "processo di pace", rafforzavano le capacità dell'Autorità Palestinese e prendevano le distanze, e talvolta criticavano, specifiche pratiche israeliane abusive nei TPO. Questo approccio, che trascura la natura profondamente radicata della discriminazione e della repressione israeliane nei confronti dei palestinesi, minimizza le gravi violazioni dei diritti umani trattandole come sintomi temporanei dell'occupazione che il "processo di pace" presto curerà. Ha permesso agli stati di sottrarsi al tipo di responsabilità che una situazione di questa gravità impone, permettendo all'apartheid di metastatizzarsi e consolidarsi. Dopo 54 anni, gli stati dovrebbero smettere di valutare la situazione attraverso il prisma di ciò che potrebbe accadere se lo stagnante processo di pace un giorno venisse rianimato e concentrarsi invece sulla realtà di lunga data sul terreno che non mostra segni di cedimento.

I crimini contro l'umanità possono servire come base per la responsabilità penale individuale nelle sedi internazionali, così come nei tribunali nazionali al di fuori di Israele e dei TPO secondo il principio della giurisdizione universale.

Alla luce del pluridecennale fallimento delle autorità israeliane nel mettere un freno a gravi abusi, l'Ufficio del Procuratore della Corte penale internazionale dovrebbe indagare e perseguire le persone credibilmente implicate nei crimini contro l'umanità di apartheid o persecuzione. La CPI ha giurisdizione, e il pubblico ministero ha aperto un'indagine, su gravi crimini commessi nei TPO. Inoltre, tutti i governi dovrebbero indagare e perseguire coloro che sono credibilmente implicati in questi crimini, in base al principio della giurisdizione universale e in conformità con le leggi nazionali.

Al di là della criminalità, Human Rights Watch invita gli stati a istituire attraverso le Nazioni Unite una commissione internazionale di inchiesta per indagare sulla discriminazione e repressione sistematiche basate sull'identità di gruppo nei TPO e in Israele. L'indagine dovrebbe essere incaricata di stabilire e analizzare i fatti; identificare i responsabili di reati gravi, tra cui l'apartheid e la persecuzione, al fine di garantire che gli autori vengano considerati responsabili; nonché raccogliere e conservare prove relative ad abusi per uso futuro da parte di istituzioni giudiziarie credibili.

Gli Stati dovrebbero anche stabilire, attraverso le Nazioni Unite, una posizione di inviato globale delle Nazioni Unite per i crimini di persecuzione e apartheid con il mandato di mobilitare l'azione internazionale per porre fine alla persecuzione e all'apartheid in tutto il mondo.

Gli Stati dovrebbero rilasciare dichiarazioni che esprimano preoccupazione per la pratica di apartheid e persecuzione da parte di Israele. Dovrebbero esaminare accordi, schemi di cooperazione e tutte le forme di commercio e rapporti con Israele per individuare quelli che contribuiscono direttamente all’esecuzione dei crimini di apartheid e persecuzione contro i palestinesi, mitigare gli impatti sui diritti umani e, ove non fosse possibile, porre fine alle attività e finanziamenti che risultano facilitare questi gravi crimini.

Le implicazioni dei risultati di questo rapporto per le imprese sono complesse e oltre lo scopo di questo rapporto. Come minimo, le imprese dovrebbero cessare le attività che contribuiscono direttamente alla commissione dei crimini di apartheid e persecuzione. Le aziende dovrebbero valutare se i loro beni o servizi contribuiscono alla commissione dei crimini di apartheid e persecuzione, come le attrezzature utilizzate nella demolizione illegale di case palestinesi, e cessare di fornire beni e servizi che saranno probabilmente utilizzati per tali scopi, in conformità con i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani.

Gli Stati dovrebbero imporre sanzioni individuali, inclusi divieti di viaggio e congelamento dei beni, contro funzionari e individui responsabili della commissione continua nel questi gravi crimini e condizionare la vendita di armi e l'assistenza militare e di sicurezza a Israele al fatto che le autorità israeliane intraprendano passi concreti e verificabili per porre fine alla loro commissione dei crimini di apartheid e persecuzione.

Per troppo tempo la comunità internazionale ha giustificato e ha chiuso un occhio sulla realtà sul terreno sempre più chiara. Ogni giorno una persona nasce a Gaza in una prigione a cielo aperto, in Cisgiordania senza diritti civili, in Israele con uno status inferiore per legge e nei paesi vicini di fatto condannata allo status di rifugiato per tutta la vita, come i loro genitori e i loro nonni prima di loro, solo perché sono palestinesi e non ebrei. Un futuro radicato nella libertà, nell'uguaglianza e nella dignità di tutte le persone che vivono in Israele e nei TPO rimarrà irraggiungibile fintanto che le pratiche abusive di Israele contro i palestinesi persistono.

NOTE

(1) Vedi, per esempio, “In 1976 interview, Rabin likens settler ideologues to ‘cancer,’ warns of ‘apartheid’,” Times of Israel, September 25, 2015, https://www.timesofisrael.com/in-1976-interview-rabin-likens-settlements-to-cancer-warns-of-apartheid/ (consultato il 4 giugno 2020); M.S., “Ehud Barak breaks the apartheid barrier,” The Economist, February 15, 2010, https://www.economist.com/democracy-in-america/2010/02/15/ehud-barak-breaks-the-apartheid-barrier (consultato il 4 giugno 2020); Rory McCarthy, “Israel Risks Apartheid-like Struggle If Two-state Solution Fails, Says Olmert,” The Guardian, November 30, 2007, https://www.theguardian.com/world/2007/nov/30/israel (consultato il 4 giugno 2020); Zehava Galon (@zehavagalon), April 18, 2021, Twitter, https://twitter.com/zehavagalon/status/1251391524157435904?lang=en, (consultato il 13 luglio 2020); “Abbas tells UN it’s responsible for ending Israeli ‘apartheid,’” Times of Israel, September 20, 2017, https://www.timesofisrael.com/abbas-tells-un-its-responsible-for-ending-israeli-apartheid/ (consultato il 5 luglio, 2020); Jimmy Carter, “Israel, Palestine, Peace and Apartheid,” The Guardian, December 12, 2006, https://www.theguardian.com/commentisfree/2006/dec/12/israel.politicsphilosophyandsociety (consultato il 4 giugno 2020); Peter Beaumont, “Israel Risks Becoming Apartheid State If Peace Talks Fail, Says John Kerry,” The Guardian, April 29, 2014, https://www.theguardian.com/world/2014/apr/28/israel-apartheid-state-peace-talks-john-kerry (consultato il 4 giugno 2020); Alon Liel, “Trump’s Plan for Palestine Looks a Lot Like Apartheid,”Foreign Policy, February 27, 2020, https://foreignpolicy.com/2020/02/27/trumps-plan-for-palestine-looks-a-lot-like-apartheid/ (consultato il 4 giugno 2020); “Binyamin Netanyahu: A Parable of Modern Populism,” The Economist, March 30, 2019, https://www.economist.com/leaders/2019/03/30/binyamin-netanyahu-a-parable-of-modern-populism?frsc=dg%7Ce (consultato il 4 giugno 2020); Editorial Board, “Mr. Netanyahu’s Next Test,” New York Times, April 10, 2019, https://www.nytimes.com/2019/04/10/opinion/editorials/israel-election-netanyahu-trump.html?smid=nytcore-ios-share (consultato il 4 giugno 2020); Ishaan Tharoor, “Netanyahu Sees a Path to Victory. Critics See Apartheid,” Washington Post, April 8, 2019, https://www.washingtonpost.com/world/2019/04/08/netanyahu-sees-path-victory-critics-see-apartheid/?noredirect=on&utm_term=.5de80e23a864 (consultato il 4 giugno, 2020); “Civil Administration Advances 1,936 Settlement Units,” Peace Now press release, January 6, 2020, https://peacenow.org.il/en/civil-administration-advances-1936-settlement-units (consultato il 4 giugno, 2020); “Grave Concern About US Plan to Resolve Israel-Palestine Conflict,” The Guardian, February 27, 2020, https://www.theguardian.com/world/2020/feb/27/grave-concern-about-us-plan-to-resolve-israel-palestine-conflict (consultato il 4 giugno 2020); “Trump Plan Normalizes Israel's Apartheid Regime in West Bank, Calls for Annexation and Forced Transfer of 260,000 Palestinian Citizens of Israel,” Adalah press release, January 30, 2020, https://www.adalah.org/en/content/view/9900 (consultato il 4 giugno 2020); Daniel Sokatch, “The Democratic Pushback to Annexation,” New Israel Fund blog, January 30, 2020, https://www.nif.org/blog/we-are-the-democratic-pushback-to-annexation/ (consultato il 4 giugno 2020); Gadi Taub, “The Results Are In, and Peace Lost,” New York Times, January 29, 2003, https://www.nytimes.com/2003/01/29/opinion/the-results-are-in-and-peace-lost.html (consultato il 4 giugno 2020); Thomas L. Friedman, “Campus Hypocrisy,” New York Times, October 16, 2002, https://www.nytimes.com/2002/10/16/opinion/campus-hypocrisy.html (consultato il 4 giugno 2020).

(2) Vedi, per esempio, Nathan Thrall, “The Separate Regimes Delusion,” London Review of Books, Vol. 43, No. 2, January 21, 2021, https://lrb.co.uk/the-paper/v43/n02/nathan-thrall/the-separate-regimes-delusion (consultato il 19 gennaio 2021); “A Regime of Jewish Supremacy from the Jordan River to the Mediterranean Sea: This is Apartheid,” B’Tselem, January 12, 2021, https://www.btselem.org/publications/fulltext/202101_this_is_apartheid (consultato il 19 gennaio 2021) (disponibile in italiano all’indirizzo: http://www.assopacepalestina.org/2021/01/un-regime-di-supremazia-ebraica-dal-fiume-giordano-al-mar-mediterraneo-questo-si-chiama-apartheid/ - NdT).

(3) Quelli che lo hanno fatto includono, “ESCWA Launches Report on Israeli Practices Towards the Palestinian People and the Question of Apartheid,” UN Economic and Social Commission for Western Asia (ESCWA) press release, March 15, 2017, https://www.unescwa.org/news/escwa-launches-report-israeli-practices-towards-palestinian-people-and-question-apartheid (consultato il 4 giugno 2020) (Report non più disponibile online online; copia su filedi HRW) [disponibile in italiano all’indirizzo: https://bdsitalia.org/index.php/la-campagna-bds/risorse-bds/2449-rapporto-escwa -  NdT); “Palestinian, Regional and International Groups Submit Report on Israeli Apartheid to UN Committee on the Elimination of Racial Discrimination,” Al-Haq press release, November 12, 2019, https://www.alhaq.org/advocacy/16183.html (consultato il 19 gennaio 2021); Yesh Din, “The Occupation of the West Bank and the Crime of Apartheid: Legal Opinion,” July 9, 2020, https://www.yesh-din.org/en/the-occupation-of-the-west-bank-and-the-crime-of-apartheid-legal-opinion/ (consultato il 12 agosto 2020).

Fonte: Human Rights Watch (HRW)