LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

“Un voto conta qualcosa se ti piace colui o ciò per cui vai a votare. Per questo penso che i votanti quest’anno saranno piuttosto pochi: probabilmente la più bassa affluenza nella storia di Israele”. Pubblichiamo la prima parte di una lunga intervista a Shir Hever, economista israeliano dell'AIC. 

di Stefano Nanni

PRIMA PARTE - “LE ELEZIONI ISRAELIANE"

Shir Hever è un ricercatore economico per l’Alternative Information Center, organizzazione israelo-palestinese che promuove i diritti umani e nazionali dei palestinesi e una giusta pace basata sul rispetto del diritto internazionale, con sede a Beit-Sahour, Betlemme.

Studiando gli aspetti economici dell’occupazione dei Territori Palestinesi, i principali argomenti che Hever tratta sono gli aiuti internazionali di cui beneficiano i palestinesi e lo stato di Israele, gli effetti dell’occupazione sull’economia israeliana e le campagne di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro  Tel Aviv. Ha collaborato con varie testate online, tra cui Electronic Intifada e JNews, ed è spesso invitato da università e centri di ricerca internazionali per parlare ed esporre i suoi studi sull’economia dell’occupazione israeliana. 

Ma, prima di tutto, è un cittadino israeliano che sarà chiamato a eleggere un nuovo parlamento il 22 gennaio prossimo.  

Cosa pensa delle prossime elezioni legislative?

Credo che non siano molto importanti, perché se si guarda attentamente ai programmi dei vari partiti politici si nota che non c’è quasi differenza tra loro, tra quello che dicono oggi e che dicevano quattro, o peggio ancora otto anni fa. Il sistema politico israeliano è costruito in modo tale che i partiti sionisti possano avere sempre la maggioranza. 

Basta fare un semplice ragionamento: l’area territoriale controllata da Israele, inclusa la Cisgiordania, consta di circa 12 milioni di persone. Ma di questi, soltanto il 49% è ebreo-israeliano, e questa stessa percentuale detiene il 75% del voto. In questo modo i partiti sionisti sono organizzati in modo da vincere sempre. E inoltre questi partiti, che si riconducano alla sinistra, come il Labor, o alla destra, come il Likud-Beiteinu o l’Habayt Hayehudi, concordano su diverse questioni. 

Quali?

Ad esempio sono d’accordo sul fatto che potrebbe esserci prima o poi uno stato palestinese e che forse non c’è niente da fare al riguardo; concordano tutti sull’assedio di Gaza, che non deve cessare; pensano tutti che non dovrebbe esserci un diritto al ritorno dei profughi palestinesi; sono d’accordo che non tutti i territori occupati da Israele nel 1967 potranno essere restituiti.

Di conseguenza le differenze diventano sfumature.

Per questo penso che le elezioni non contribuiscano a un cambiamento reale della situazione: sappiamo già com’è fatto il sistema politico israeliano. Dovremmo piuttosto chiederci com’è fatto quello palestinese, e qual è lo stato delle pressioni internazionali su Israele. Questo è ciò che conta se parliamo di politica israeliana. 

Ha citato la formazione nazional-religiosa Habayt Hayehudi, che probabilmente sarà il terzo partito in Israele dopo il Likud-Beiteinu e il Labor. Sembra che l’estrema destra stia crescendo. È così?

Credo che nell’opinione pubblica israeliana si stia osservando una tendenza a esprimere sempre più apertamente visioni piuttosto estreme, senza esitazioni o freni.

Notiamo che i partiti di estrema destra, come Habayt Hayehudi, stanno facendo affermazioni sul fatto che'Israele dovrebbe essere soltanto per gli ebrei':  vogliono dire che tutti i non-cittadini e i cittadini non-ebrei sono un problema di cui bisogna liberarsi.

In Israele sta diventando sempre più accettabile parlare così. Ma c’è una differenza tra le opinioni, il modo in cui queste vengono espresse durante la campagna elettorale e le azioni delle persone.

E’ una differenza molto importante perché, da un lato, vediamo un crescente numero di israeliani che si esprime in questo modo; dall’altro si nota che sempre meno cittadini si arruolano nell’esercito: in effetti il tasso di coscrizione è in forte diminuzione; un gran numero di israeliani lasciano il paese, e molti hanno smesso di andare a votare perché non credono nel cambiamento. Sono persone che hanno perso totalmente la fiducia nella politica. 

Questi indici ci mostrano che, da una parte, la cultura politica diventa molto aggressiva, barbara – ad esempio abbiamo visto che la grande maggioranza della popolazione ha sostenuto l’ultimo attacco a Gaza, insistendo che l’esercito avrebbe dovuto intervenire anche via terra –; dall’altra, per contro, mentre il governo richiamava 80 mila soldati riservisti al confine con la Striscia, soltanto 50 mila hanno risposto. 

Mentre pubblicamente viene espresso un certo tipo di visione, nella pratica le persone non agiscono in questo senso. Piuttosto si aspettano che siano altri a perseguire attacchi e violenze. 

Questa diminuzione negli arruolamenti nell’esercito è data da un aumento dei refuseniks?

In realtà no, non c’è una crescita del movimento dei Refuseniks. Ciò che sta aumentando è il numero dei renitenti alla leva. E si tratta di una diversa categoria. 

I refuseniks sono persone che fanno una dichiarazione politica: 'Mi rifiuto di servire nell’esercito perché non sono d’accordo con le sue azioni e le sue politiche'. Invece i renitenti alla leva possono avere qualsiasi opinione, potrebbero anche essere in linea con quello che fanno le Israeli Defense Forces (l’esercito israeliano, ndr).

Semplicemente non vogliono rischiare la propria vita o non vogliono sprecare il loro tempo. E trovano strategie per evitare il servizio militare. 

Inoltre c’è da sottolineare che il numero dei refuseniks di cui stiamo parlando consiste in poche centinaia di persone – che comunque vanno in carcere ogni anno – ma rimane una piccola parte della popolazione giovanile israeliana. Se guardiamo invece a quanti stanno evitando la leva militare – ad esempio fingendosi malati o pazzi – scopriamo che si tratta della metà della popolazione. 

Metà della popolazione? E’ qualcosa di cui non si sente parlare sui mezzi di informazione. 

Esatto. Ovviamente il governo sta nascondendo le cifre reali, perché se il pubblico venisse a sapere che molti israeliani stanno evitando il servizio militare ci sarebbero molti altri che smetterebbero di arruolarsi. Tuttavia ci sono altri modi per reperire informazioni. 

Ad esempio , tempo fa l’Israeli Bureau of Statistics ha pubblicato un sondaggio nel quale si chiedevano agli intervistati alcune informazioni biografiche, una delle quali era se fossero mai stati nell’esercito. Il 52% ha risposto di no (1). 

Tornando alle elezioni, in base a quanto detto, potremmo aspettarci un tasso di astensione elevato dagli elettori israeliani?

Credo di sì. Sembra che tra i cittadini israeliani-palestinesi (i cosiddetti “arabi-israeliani”, ndr) si stia formando un forte movimento di boicottaggio delle elezioni. Stanno acquisendo forza e sono convinti che ai loro rappresentanti in parlamento non sia concesso esprimersi liberamente. Recentemente l’Elections Committee of Israel ha deciso che Hanin Zuabi (2) non potrà partecipare alle elezioni: si tratta dell’unica donna palestinese presente nella Knesset  (il parlamento israeliano, ndr). Immagino che in seguito a questa decisione molti palestinesi si siano detti: 'Bene, se voi (israeliani) state squalificando quelli con cui non andate d’accordo o che non vi piacciono, perché dovremmo votare?'. 

Un voto conta qualcosa se ti piace colui o ciò per cui vai a votare. Per questo penso che i votanti quest’anno saranno piuttosto pochi: forse il 60%, che probabilmente rappresenterà la più bassa affluenza nella storia di Israele. 

Oltre al caso Zuabi, quali sono gli altri argomenti che stanno caratterizzando il dibattito elettorale?

Beh, intanto c’è da dire che Netanyahu ha molto talento nel capire come si gestisce un dibattito pubblico. Facciamo un esempio: di recente ha deciso di non rendere pubblico il bilancio che questo governo ha pianificato per l’anno 2013, affermando che sarà disponibile soltanto dopo le elezioni. Si tratta di una mossa interessante, soprattutto se guardiamo ai risultati.

Rendendo segreto il bilancio (in contravvenzione al regolamento parlamentare israeliano, ndr), mi sarei aspettato che la gente dicesse ‘ok, non voteremo per te perché ci stai nascondendo qualcosa’. E invece no, perché Netanyahu è stato capace di spostare il dibattito su altro: sulle questioni di sicurezza, sul processo di pace. Cose su cui in realtà non c’è discussione, perché su questo terreno Netanyahu ha più potere e sa come convincere i cittadini a votare per lui. 

Alcuni partiti, come il Labor, provano a spostarsi sulle questioni sociali, ma i media non si interessano a questo genere di storie, non sono abbastanza ‘sexy’ per loro. 

Di conseguenza il dibattito continua a essere impostato su ‘destra contro sinistra’, ‘Hamas contro Iran’ e via dicendo. Una cosa molto conveniente per Netanyahu. In questo modo lui diventa più potente.

Ma il prezzo che sta pagando per questo gioco è molto alto, perché sempre più persone stanno lasciando il suo partito per unirsi a chi è ancora più a destra del Likud.

Ndr - Secondo un recente sondaggio riportato da Haaretz il Likud-Beiteinu starebbe perdendo seggi a favore di partiti come l’Habayit Hayehudi. “La conclusione tratta da questi dati è che una campagna negativa erode il supporto per il partito che la porta avanti”, si legge nell’articolo. Habayit Hayehudi sembra, a questo punto, candidarsi non per essere il terzo, bensì il secondo partito nella Knesset, cosa che rappresenterebbe una svolta storica. Se il voto avesse luogo oggi, infatti, questo partito guadagnerebbe 14 seggi, solo due in meno rispetto al Labor, che ne otterrebbe 16. 

(1) Per un approfondimento circa la diminuzione del tasso di coscrizione, clicca qui.

(2) Al momento dell’intervista, registrata il 29 dicembre 2012, Hanin Zuabi era ancora in attesa del giudizio della Corte Suprema sul ricorso da lei effettuato. Questo è arrivato il 30 dicembre e ha ribaltato la decisione del Comitato Elettorale: Hanin Zuabi potrà partecipare alle elezioni legislative.

Fonte: Osservatorio Iraq, Medioriente e Nordafrica