di Ghislain Poissonnier, magistrato
[Questo articolo è stato rivisto dall'autore il 7 novembre 2015]
La sezione penale della Corte di Cassazione il 20 ottobre 2015 ha emesso due sentenze, secondo le quali la libertà di espressione non permette si faccia appello al boicottaggio dei prodotti israeliani, il che costituisce pertanto un reato punibile in Francia.
Dodici attivisti della campagna Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni (BDS) avevano presentato ricorso in Cassazione contro le due sentenze della Corte d'appello di Colmar il 27 novembre 2013 (CA Colmar Arrêt N12/00304 et Arrêt N12/00305). Nel respingere il ricorso degli attivisti condannati, la Corte di Cassazione ha stabilito che l'appello fatto dagli attivisti ai consumatori a non comprare prodotti israeliani costituisca reato - quello di chiamare alla discriminazione nazionale - e che le condanne della Corte d'appello di Colmar sono quindi coerenti con la legge.
Ricordiamo che gli attivisti avevano partecipato a due azioni del BDS nel 2009 e 2010 in un supermercato nella zona di Mulhouse. Avevano pronunciato slogan, distribuito opuscoli e indossato abiti che chiedevano il boicottaggio dei prodotti israeliani. Perseguiti dal procuratore, erano stati assolti in primo grado dal Tribunale penale di Mulhouse il 15 dicembre 2011. Le due sentenze della Corte d'appello di Colmar, tuttavia, li avevano riconosciuti colpevoli per il reato di incitamento alla discriminazione nazionale. L'infrazione accertata era quella prevista ai sensi dell'articolo 24, comma 8 della legge del 1881 sulla stampa, che punisce con un anno di reclusione e una multa € 45.000 chiunque abbia "provocato alla discriminazione, all'odio o alla violenza contro una persona o un gruppo di persone a causa della loro origine o della loro appartenenza o non appartenenza a un gruppo etnico, nazione, razza o religione." Qui si è trattato specificatamente di provocazione (con qualsiasi mezzo, scritti, slogan, abiti, ecc.) alla discriminazione nei confronti dei produttori e dei fornitori di beni (considerati come un "gruppo di persone") in ragione della loro appartenenza alla nazione israeliana.
Il ricorso ad un testo del genere - concepito nel 1972 per lottare contro le discriminazioni di cui sono vittime le persone fisiche e in nessun caso per vietare gli appelli pacifici al boicottaggio dei prodotti di uno Stato la cui politica è criticata - sembrava pertanto urtare contro la regola di stretta interpretazione del diritto penale. Sembrava pure essere in contrasto con il requisito della prevedibilità della norma penale, non permettendo la lettura di tale testo, la possibilità per un cittadino di dubitare che quanto affermato sul boicottaggio possa essere penalmente perseguibile. Visto poi che non mancano gli esempi di cittadini, associazioni, artisti, intellettuali e anche politici che nel recente passato hanno chiesto il boicottaggio di prodotti provenienti da uno Stato che viola i diritti dell'uomo (il Sud Africa dell'apartheid, Rhodesia, Russia, Cina, Iran, ecc).
Per la Corte d'appello di Colmar, poco importa che gli attivisti in questione siano membri di un'associazione e rispondano a una parola d'ordine nazionale ed internazionale di boicottaggio dei prodotti israeliani; poco importa che la suddetta associazione condanni fermamente tutte le forme di antisemitismo e razzismo e respinga in modo inequivocabile il boicottaggio di persone; poco importa che l'azione intrapresa nel supermercato fosse totalmente pacifica, senza alcun danneggiamento o aggressione e nessun reclamo da parte del magazzino; poco importa che la libertà di commercio di tutte le parti interessate - consumatori, venditori e produttori – sia stata garantita; poco importa, ancora, che i militanti abbiano agito per ottenere il rispetto del diritto internazionale da parte delle autorità israeliane; poco importa infine che alcuni prodotti israeliani siano etichettati con la frode (dato la provenienza da insediamenti israeliani illegali secondo il diritto internazionale) e i consumatori così, ingannati. Le due sentenze del 27 novembre 2013 dichiaravano: "l'incitamento alla discriminazione non può rientrare nel diritto alla libertà di opinione e di espressione in quanto si tratta di un atto positivo di rigetto, che si manifesta incoraggiando ad una differenza di trattamento di una categoria di persone, in questo caso i produttori di beni che si trovano in Israele ". Diverse giurisdizioni in merito, tra cui la Corte d'Appello di Parigi, avevano giudicato esattamente il contrario, vale a dire che l'appello al boicottaggio dei prodotti israeliani beneficia della libertà di espressione in una società democratica, facendo riferimento quindi alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo (vedi anche). Da qui l'idea, nel contesto dei ricorsi in Cassazione, a fare affidamento sul diritto europeo.
I ricorsi argomentano che il testo dell'articolo 24 paragrafo 8 della legge del 1881 sulla stampa, non può essere applicato agli attivisti che chiedono il boicottaggio dei prodotti provenienti da uno Stato la cui politica è criticata, in quanto violerebbe il loro diritto alla libertà di espressione garantito dall'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Chiaramente, è stato chiesto alla Corte di Cassazione di dichiarare che la legge nazionale (articolo 24 comma 8 della legge sulla stampa) doveva essere qui esclusa in quanto contraria al diritto europeo, che le è superiore ( l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo).
Le due sentenze del 20 ottobre 2015 considerano che non c'è contraddizione tra due norme come quelle applicate al caso in specie. Per la Corte di Cassazione, gli appelli a boicottare i prodotti israeliani possono essere penalmente vietati in nome della "difesa dell'ordine" e della "tutela dei diritti degli altri", due limitazioni espressamente previste dall'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, la libertà di espressione non è un diritto senza limite. Per "la difesa dell'ordine" occorre intendere la difesa dell'ordine pubblico al fine di evitare potenziali disordini o problemi di sicurezza. Con "proteggere i diritti degli altri" occorre intendere la tutela dei diritti dei produttori e fornitori di beni israeliani.
Tuttavia, è necessario constatare che queste limitazioni sono state avanzate dalla Corte perentoriamente e applicate nei confronti di attivisti pacifici che si esprimono su un argomento di interesse generale e internazionale senza una vera considerazione degli imperativi legati al dibattito democratico e senza alcuna considerazione degli interessi in gioco. In cosa l'azione pacifica di Mulhouse ha creato un disturbo per l'ordine pubblico o posto problemi di sicurezza? In cosa sono stati attentati i diritti dei produttori israeliani – da richiedere un intervento per la loro "protezione" – dal momento che in nessun caso da parte degli attivisti è stato impedito l'esercizio del libero commercio ? E anche se così fosse, come si può giustificare questo potente attacco alla libertà di espressione e una tale restrizione del dibattito democratico su una questione di interesse pubblico? La Corte Suprema non dà alcuna indicazione al riguardo, non più di quanto la Corte d'appello di Colmar ... Si spera che la Corte europea dei diritti dell'uomo si occupi del caso per chiarire questi elementi. La sua giurisprudenza, tradizionalmente più protettiva della libertà di espressione di quella della Corte di Cassazione, dà speranza a tutti coloro che sono scioccati da una doppia decisione che isola totalmente la Francia.
Con queste due sentenze del 20 ottobre 2015, il nostro paese è diventato l'unico Stato al mondo - con Israele – a penalizzare gli appelli dei cittadini a non comprare prodotti israeliani. In tutti i grandi paesi democratici, le ripetute richieste del governo israeliano per sanzionare appelli al boicottaggio sono state respinte in nome della libertà di espressione, della necessità di un dibattito democratico (che può avere necessità di contestazioni) su soggetti internazionali e il rispetto della vita associativa. Questa criminalizzazione alla francese giunge in un momento in cui il movimento di Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni (BDS) avanza ovunque nel mondo, sia che si tratti del mondo degli affari, che del mondo accademico, della comunità artistica, delle chiese, dei sindacati, dei partiti politici. Che si sia pro o contro il BDS come mezzo per raggiungere una soluzione basata sul diritto internazionale nel conflitto israelo-palestinese, nessuno, all'estero, contesta la natura pacifica di questo movimento e il suo diritto ad agire e crescere anche attraverso gli appelli al boicottaggio, compreso quello ai prodotti israeliani.
Fonte: Association des Universitaires pour le Respect du Droit International en Palestine