L'Area E1 comprende la megacolonia Ma'aleh Adumim, sede di Sodastream
Costruire in E1 non evita uno scenario futuro di scontri, come dice Israele, ma al contrario crea un confronto immediato. Una colonia in quest’area separerà la Cisgiordania, erodendo la piattaforma geografica dello Stato palestinese dividendolo in tre blocchi: la Striscia di Gaza, il Sud della Cisgiordania e il Nord della Cisgiordania. L’impatto sulla popolazione palestinese che vive nell’area sarà disastroso: la crescita demografica naturale sarà impedita e le comunità palestinesi saranno isolate.
di Sergio Yahni
La rabbia internazionale per l’espansione coloniale israeliana è piovuta nei giorni scorsi sul piano di Tel Aviv di costruire tremila case in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, come vendetta per la decisione dell’Assemblea Generale dell’Onu di elevare lo status dell’OLP a Stato non membro. La comunità internazionale ha in particolare criticato la decisione di Israele di riprendere il progetto di costruzione in area E1, tra la Cisgiordania, la colonia di Ma’ale Adumim e Gerusalemme.
Nonostante le pressioni internazionali, il Comitato di pianificazione dell’Amministrazione Civile ha approvato l’avanzamento delle costruzioni. Ora le parti possono presentare le loro obiezioni al piano e, solo dopo che queste obiezioni saranno analizzate, il progetto proseguirà: ovvero, l’implementazione non è immediata.
Il piano include la costruzione di un centro commerciale e di strutture educative, che sorgeranno intorno alla stazione di polizia, già costruita, oltre ad altre 2000 unità abitative. Ogni successiva discussione in merito al progetto richiederà l’approvazione del COGAT (Coordinatore delle attività governative nei Territori), l’ente militare israeliano responsabile del coordinamento tra governo e Amministrazione Civile.
Le analisi israeliane sulla sicurezza descrivono la costruzione in area E1 come un obiettivo strategico per Israele. Il professor Efraim Inbar, direttore del BESA (Centro Begin-Sadat per gli Studi Strategici) all’Università di Bar Illan, ad esempio, spiega in un articolo del 5 dicembre 2012 che costruire in E1 è cruciale per la dottrina della sicurezza israeliana. Inbar ritiene che attraverso quest’area si creerà un corridoio dalle basi militari al centro di Israele fino alla Cisgiordania e alla Valle del Giordano, un corridoio attraverso il quale l’esercito sarà in grado di muovere le truppe senza interferenze dovute alla presenza della popolazione palestinese.
Secondo Inbar, la colonia di “Ma’ale Adumim sarà il perno di una nuova linea di difesa lungo la Valle del Giordano, contro aggressioni provenienti da Est”. E aggiunge che una colonia ebraica in area E1 “sarà l’unica via sicura attraverso il quale Israele potrà mobilitare le truppe dalla costa al Giordano, se necessario”. Infine, “eviterà la divisione di Gerusalemme”.
La domanda è perché Israele dovrebbe desiderare un corridoio per muovere le truppe verso la Valle del Giordano. Dopo tutto, il trattato di pace con la Giordania previene ogni tipo di minaccia al confine.
Secondo Inbar, crogiolarsi sul trattato di pace con la Giordania è una prospettiva di breve periodo. Un simile corridoio, continua Inbar, è necessario perché Israele deve tenere in considerazione la possibilità che il regime hashemita crolli a favore del potere islamico.
Le ragioni elencate da Inbar e connesse alla sicurezza di Israele per giustificare la costruzione in area E1 riflettono la percezione di Benjamin Netanyahu. Nel giugno 2009, Netanyahu scelse il BESA come luogo in cui presentate la sua visione sul futuro delle relazioni israelo-palestinesi.
Nel corso di quell’evento, il premier israeliano fece eco al pensiero strategico del Centro: la soluzione a due Stati è possibile solo se le richieste israeliane in merito alla sicurezza saranno garantite e se i palestinesi riconosceranno Israele come Stato ebraico. Netanyahu disse: “Saremo pronti a firmare un accordo di pace per trovare una soluzione al conflitto, dove uno Stato palestinese demilitarizzato esisterà accanto allo Stato ebraico”.
Seguendo le posizioni di BESA, Netanyahu disse anche chiaramente che un simile scenario non si realizzerà perché “i moderati palestinesi non sono ancora pronti ad accettare Israele come Stato-nazione del popolo ebraico”. Per questa ragione, “l’idea che un ritiro dai Territori porterà alla pace con i palestinesi, o almeno permetterà l’avanzamento dei negoziati, è ancora lontana dalla realtà”.
Tuttavia, costruire in E1 non evita uno scenario futuro di scontri, come dice Israele, ma al contrario crea un confronto immediato. Una colonia in quest’area separerà la Cisgiordania, erodendo la piattaforma geografica dello Stato palestinese dividendolo in tre blocchi: la Striscia di Gaza, il Sud della Cisgiordania e il Nord della Cisgiordania. L’impatto sulla popolazione palestinese che vive nell’area sarà disastroso. La colonia non solo impedirà la naturale crescita demografica delle comunità palestinesi – come già successo con l’implementazione delle politiche israeliane di separazione dal 2002 ad oggi – ma costringerà la popolazione a lasciare i propri villaggi.
Circa 2.300 palestinesi beduini che vivono in piccole comunità tra Ma’ale Adumim e Gerusalemme saranno trasferiti con la forza. Molti di loro sono rifugiati le cui famiglie furono costrette a lasciare il Negev negli anni ’50. Fino al 1967 hanno mantenuto il loro tradizionale stile di vita, di contadini e pastori, alla periferia Est di Gerusalemme e nella Valle del Giordano. Tuttavia, dopo l’occupazione israeliana del 1967, le aree in cui i beduini erano autorizzati a vivere sono state continuamente ridotte, perché dichiarate zone militare chiuse o perché confiscate a favore dell’espansione delle colonie.
Inoltre, circa 50mila palestinesi residenti nei villaggi di Anata, Abu Dis e Azzaria resteranno isolati, stretti tra le nuove colonie a Est e il Muro di Separazione ad Ovest. Una sola strada correrà tra Betlemme e Ramallah, la loro unica via di comunicazione con il mondo.
Le esperienze delle comunità palestinesi rimaste isolate a causa del Muro mostrano una costante riduzione della popolazione: i residenti preferiscono andarsene piuttosto che vivere in una prigione a cielo aperto. È il caso dell’enclave di Bir Nabala, tra Ramallah e Gerusalemme, e di Sheikh Saed, a Sud Est di Gerusalemme. Organizzazioni per i diritti umani stimano che il 20-30% degli abitanti hanno lasciato le proprie case.
Al professor Inbar, al premier Netanyahu e all’Amministrazione Civile israeliana non interessa affatto il futuro di oltre 50mila palestinesi, condannati alla povertà, l’isolamento e il trasferimento forzato. C’è solo una ragione per tale indifferenza: questi 50mila palestinesi non sono ebrei e il loro futuro può essere venduto, a meno che la comunità internazionali non fermi Israele.
Fonte: Alternative Information Center
Traduzione a cura di AIC Italiano