Mishor Adumim, una delle colonie israeliane in quella parte di Palestina che passa sotto il nome di Cisgiordania (West Bank). La SodaStream, impresa che vanta tra i suoi volti pubblicitari anche quello dell’attrice Scarlett Johansson, ha installato uno dei suoi impianti lì. Il suo amministratore delegato, Daniel Birnbaum, esalta il modello di integrazione di cui la sua impresa è espressione: lavoratori israeliani e palestinesi che insieme producono gasatori, bevande, concentrati, cilindri. Per di più in uno dei così tanto contestati “insediamenti” (“settlement”) israeliani.
La rivendicazione dei palestinesi concerneva anche misure di sicurezza, dal momento che non è difficile ipotizzare che i rischi aumentino notevolmente se ad azionare i grandi macchinari presenti in fabbrica siano persone affamate e deboli a causa della mancanza di alimentazione.Il 3 luglio, tuttavia, sono stati licenziati 60 lavoratori palestinesi, tutti del turno notturno. Secondo quanto riferito dall’azienda il motivo sarebbe stata l’indizione di uno sciopero selvaggio. Ben altra storia viene invece raccontata dai lavoratori: i licenziamenti sarebbero infatti arrivati in seguito ad una disputa verificatasi il giorno precedente. Mercoledì 2 luglio, infatti, gli operai palestinesi avrebbero rivendicato dei pasti adeguati per la fine delle ore di digiuno previste dal Ramadan, lamentando l’assoluta insufficienza di quello loro consegnato fino a quel momento. L’azienda, infatti, non permette di far entrare nella sua struttura cibo che non sia “kosher” (che segue, cioè, le prescrizioni della Torah), così che i lavoratori palestinesi non ne possono portare da casa.
La disputa pare si fosse conclusa con le rassicurazioni di uno dei dirigenti aziendali, che aveva promesso che la situazione sarebbe stata risolta quanto prima. In che modo ce lo dicono i 60 licenziamenti seguiti all’indomani e comunicati tramite telefonate.
Oltre al danno c’è però anche la beffa. Il 6 luglio, arrivati in fabbrica per restituire tesserini e divise, nonché per recuperare gli effetti personali, secondo le disposizioni date dai dirigenti aziendali stessi, i lavoratori sono stati trattati alla stregua di ladri o pericolosi criminali: dapprima è stato loro impedito di accedere all’area in cui si trovavano i loro effetti personali; successivamente – scortati – hanno potuto verificare che i loro armadietti erano stati forzati, con una palese violazione della loro privacy. Per conto suo, l’azienda ha rilasciato dichiarazioni sostenendo che i lavoratori si erano comportati in maniera violenta.
Fonti: Clash City Workers