Di seguito un interessante articolo sullo sfruttamento delle cave in Cisgiordaniada parte di Israele. Nel caso del treno A1, si stima che saranno estratti circa 530mila metri cubi di materiale soltanto dal primo tunnel, quasi tutti dall’interno dei Territori Palestinesi Occupati. Altri 515mila metri cubi saranno estratti da altri due tunnel che passeranno attraverso le zone occupate, due terzi dei quali considerati materiale riutilizzabile, che sarà usato dal contraente per essere venduto o utilizzato nell’industria delle costruzioni.
di Adri Nieuwhof
HeidelbergCement e Cemex, due industrie di materiali da costruzione, rispettivamente una tedesca e l’altra messicana, sono coinvolte nell’operazione delle cave nei territori occupati della Cisgiordania. “Electronic Intifada” è riuscita a procurarsi prove documentali che mostrano camion carichi di materiale partire dalle cave illegali per giungere in Israele.
Il Diritto Internazionale proibisce lo sfruttamento da parte di Israele delle risorse naturali della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle Alture del Golan Siriano a proprio esclusivo vantaggio.
Ciò nonostante, la corsa alle cave da parte d’Israele in Cisgiordania – comprese le cave di Nahal Raba e di Yatir gestite da aziende consociate di HeidelbergCement e di Cemex – fornisce a Israele quasi un quarto del suo fabbisogno di materiale edilizio.
La Hanson Israel, consociata di HeidelbergCement, gestisce la cava di Nahal Raba in Cisgiordania, situata nei pressi della linea verde (il confine riconosciuto a livello internazionale tra Israele e iterritori occupati della Cisgiordana) e nelle vicinanze di Kfar Qasim, un villaggio palestinese in Israele.
Cemex possiede il cinquanta per cento della Cava di Yatir tramite la propria consociata ReadMix Industries. La cava di Yatir si trova in Cisgiordania, vicina all’insediamento israeliano di Teneh Omarim sulle colline a sud di Hebron.
Investimenti negli insediamenti
“Who profits?” (A chi giova?) – un programma di ricerca condotto dall’Associazione Israeliana “Women for Peace” – documenta le attività illegali delle due compagnie presenti in Cisgiordania.
Tutti gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e sulle alture del Golan Siriano sono, in base al Diritto Internazionale, illegali.
Secondo lo studio di “Women for Peace”, Hanson Israel possiede due stabilimenti di cemento in Cisgiordania, negli insediamenti di Modiin Illit e Atarot e uno di asfalto a sud dell’insediamento di Elqana.
Allo stesso tempo, ReadyMix gestisce stabilimenti in vari insediamenti israeliani. Questo comprende Mevo Horon, la zona industriale di Atarot e quella di Mishor Edomim, tutti situati nei territori occupati della CisGiordania, e Katzerin sulle alture del Golan occupato.
La stessa ReadyMix fornisce il calcestruzzo per la costruzione del muro da parte di Israele e dei posti di blocco militari in Cisgiordania, oltre al cemento per la costruzione della controversa ferrovia leggera di Israele.
Il progetto vuole rafforzare il controllo di Israele sull’estesa area di Gerusalemme, collegando Gerusalemme Ovest con numerosi insediamenti che circondano la zona occupata di Gerusalemme Est.
Le attività di HeidelbergCement e di Cemex nelle cave di Nahal Raba e di Yatir sono contrarie al Diritto Internazionale.
L’art. 55 del Regolamento di La Haye del 1907 fissa chiaramente dei limiti in materia di attività estrattiva visto che esso “proibisce la distruzione, dovuta a spreco o negligenza, della risorsa primaria sia a causa di un eccessivo taglio o di un’eccessiva estrazione, sia a causa di uno sfruttamento illecito, che contrasti con le regole di una buona attività gestionale”.
La Risoluzione 1803 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, approvata nel 1962, stabilisce che la sovranità permanente sulle ricchezze e le risorse naturali del proprio paese è un “principio fondamentale del diritto all’autodeterminazione”.
Nel 2004 la Corte Internazionale di Giustizia riaffermò il diritto all’autodeterminazione del popolo Palestinese e la posizione di Israele quale potenza occupante la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, nonché Gerusalemme Est.
Secondo il rapporto di un Ministro dell’interno israeliano, le cave nei territori occupati della Cisgiordania forniscono ogni anno 12 milioni di tonnellate di materiale da costruzione.
Il settantacinque per cento di questo materiale viene utilizzato all’interno di Israele e il resto viene usato per costruzioni da parte di Israele in Cisgiordania (questo rapporto fu citato nella petizione rivolta all’Alta Corte di Giustizia d’Israele presentata dall’avvocato Michael Sfard per conto dell’Organizzazione per i diritti umani “Yesh Din”).
Il quotidiano israeliano Haarets riferisce che nel rapporto annuale riferito all’anno 2005, il funzionario di Stato per il controllo della gestione finanziaria d’Israele rivelò che, sebbene parte dei diritti di sfruttamento provenienti dalle cave sarebbero dovuti andare a beneficio del popolo Palestinese, finirono al contrario nelle casse dello Stato d’Israele (“Rovistando nella spazzatura” – 3 Settembre 2010).
La foto scattata da un attivista per i diritti umani mostra un camion carico di materiale proveniente dalla cava di Yatir mentre entra in Israele dal posto di controllo di Meitar – 1 Maggio 2011
Le compagnie minerarie portate davanti alla Corte
Nel 2009 l’Organizzazione per i diritti umani “Yesh Din” presentò all’alta corte di giustizia d’Israele una petizione , in cui chiedeva uno stop all’attività mineraria illegale nelle cave della Cisgiordania, compresa quella svolta da Hanson Israel e ReadyMix.
Così scrive nella petizione alla Corte l’avvocato Michael Sfard : “Di fatto, noi stiamo commettendo un crimine sul territorio della Cisgiordania nel momento in cui sfruttiamo i giacimenti di ghiaia e pietra presenti su quello stesso suolo , li carichiamo sui camion e li destiniamo a raggiungere il territorio sovrano dello Stato di Israele, al servizio dell’economia israeliana”.
L’alta corte d’Israele rifiutò di imporre uno stop anche solo temporaneo alle attività estrattive o comunque di bloccare il rilascio di nuove concessioni minerarie.
Al contrario, la corte richiese una risposta da parte dei gruppi societari coinvolti dalla petizione, il che si tradusse, per le compagnie che gestivano le cave identitificate nel rapporto di Yesh Din, in una normale procedura amministrativa .
Nel Maggio 2009 Avi Dicht dell’Ufficio del Procuratore statale scrisse che lo stato avrebbe bloccato l’attuale situazione, compresa la pianificazione di nuove cave, proponendo un riesame trascorsi sei mesi (“Israele blocca l’espansione delle cave in Cisgiordania a seguito di una petizione all’alta corte” – Jerusalem Post, 21 maggio 2009).
Da allora nessuna azione è stata mai intrapresa dalla corte.
Nel frattempo l’attività estrattiva in entrambe le cave di Nahal Raba e Yatir continua.
Dror Etkes, un attivista per i diritti umani che aveva avviato e raccolto i dati per la petizione dell’associazione Yesh Din, mostrò come un camion Volvo carico di materiale da costruzione aveva lasciato la cava di Yatir ed era entrato in Israele dal posto di controllo di Meitar il primo maggio .
Etkes afferma che i camion trasportano tale materiale dalla cava verso Israele compiendo numerosi viaggi al giorno. “Who Profits?” filmò un camion che il primo maggio lasciava la cava di Nahal Raba carico di ghiaia . Il video prodotto dal gruppo mostra dove il camion attraversa la linea verde (“Cava di Hanson della HeidelbergCement in Cisgiordania).
L’attività estrattiva trasgredisce gli accordi sulla responsabilità societaria.
Il coinvolgimento delle multinazionali HeidelbergCement e Cemex nel saccheggio delle risorse naturali nei territori occupati della Cisgiordania e delle Alture del Golan non solo violano il Diritto Internazionale ma trasgrediscono anche gli impegni a rispettare i codici di comportamento e gli accordi che regolano l’attività delle società multinazionali.
Queste regole fondamentali in merito alla responsabilità societaria includono il Trattato Mondiale delle Nazioni Unite del 2000, le Norme del 2003 sulle responsabilità delle società transnazionali e le Linee Guida elaborate dall’OECD (l’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica) per le imprese multinazionali approvate nel 2000.
Sia HeidelbergCement che Cemex hanno sottoscritto i principi del Trattato Mondiale delle Nazioni Unite.
Tale Trattato è un’iniziativa politica strategica rivolta alle imprese che si sono impegnate ad allineare le loro attività con i principi volti a realizzare un’economia sostenibile e responsabile.
I primi due articoli del Trattato affermano che le imprese dovrebbero sostenere e rispettare la protezione dei diritti umani a livello mondiale, all’interno della propria sfera d’influenza, facendo in modo di non rendersi complici in possibili violazioni degli stessi.
Se nel febbraio 2004 HeidelbergCement fu elencata tra le imprese aderenti al Trattato, oggi la compagnia non risulta più esserlo.
Ciò nonostante la HeidelbergCement ha incrementato una strategia in funzione della sostenibilità e sul proprio sito web sostiene che “un’equa distribuzione delle risorse naturali tra la presente e le future generazioni è uno dei più importanti obiettivi da raggiungere per uno sviluppo sostenibile”.
Al contrario, Cemex continua ad essere collocata tra le imprese aderenti al Trattato Mondiale.
Gli investitori istituzionali stanno diventando sempre più cauti in merito alla scelta di investire in compagnie che apertamente ignorano il Diritto Internazionale e le regole di condotta stabilite per le imprese societarie, incluse quelle in merito all’importazione di risorse naturali.
In aggiunta, il crescente movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni ha rivelato il coinvolgimento di numerose società multinazionali nella politica di occupazione di Israele, spingendo gli investitori a cancellare gli investimenti da tali compagnie.
Sfortunatamente, HeidelbergCement e Cemex resteranno fuori da questa scrupolosa indagine.
Adri Nieuwhof è un consulente e avvocato per i diritti umani. Vive in Svizzera
Fonte: Electronic Intifada
Traduzione di Teresa Pelliccia