di Michele Giorgio
Non risolve il problema, che è enorme, però rappresenta un passo in avanti. Il prossimo autunno sarà operativo nei pressi di Deir al Balah, nel sud della Striscia di Gaza, un impianto di dissalazione dell’acqua finanziato dall’Unione europea e dall’agenzia dell’Onu per l’infanzia, l’Unicef. Già nelle prossime settimane sarà testato con l’obiettivo di produrre al più presto 6.000 metri cubi di acqua potabile al giorno. Questa quota sarà raddoppiata nei prossimi tre anni a vantaggio di 150.000 palestinesi che vivono tra Khan Yunis e Rafah. Il 95 per cento (per altre fonti il 97 per cento) dell’acqua di Gaza, inclusa quella filtrata e venduta da 150 imprese private, è ritenuto inadatto al consumo umano. Occorrerà perciò lavorare duro e reperire in fretta i fondi necessari per costruire altri impianti di dissalazione e assicurare nuove fonti di acqua potabile a Gaza dove le condizioni di vita dei due milioni di abitanti hanno subito un rapido declino in questi ultimi anni. Una situazione sulla quale pesano anche le offensive militari israeliane avvenute tra il 2006 e il 2014 che hanno danneggiato le infrastruttute civili. A queste si aggiunge l’embargo attuato da Tel Aviv e il Cairo che spesso impedisce l’ingresso a Gaza di materiali per l’edilizia e pezzi di ricambio.
Se nella Striscia si è fatto un piccolo progresso nella soluzione del problema dell’acqua, un passo indietro invece è avvenuto in Cisgiordania dove, anche quest’anno, con l’arrivo dell’estate, decine di migliaia di palestinesi, specie quelli che abitano nelle zone rurali, si ritrovano senza o con poca acqua potabile. I palestinesi puntano l’indice contro la Mekorot, la compagnia idrica israeliana che controlla le riserve d’acqua della Cisgiordania sotto occupazione militare. La Mekorot, protestano, garantisce una quantità d’acqua adeguata agli insediamenti coloniali ebraici a danno dei centri abitati palestinesi. La Mokorot nega di aver tagliato le forniture in occasione del mese di Ramadan a decine di centri abitati palestinesi. Parla di danni alla rete idrica e di una riduzione delle forniture che riguarderebbe tutti, dovuta al calo delle riserve idriche causato dalla siccità che ha colpito la regione in questi ultimi anni. «Tutte le nostre strutture sono al lavoro per risolvere il problema ma l’offerta d’acqua è inferiore al livello di consumo», ha scritto in un comunicato la Mekorot facendo riferimento a soluzioni tecniche in cantiere per fornire più acqua.
Parole che non convincono Ayman Rabi, del Gruppo Idrologico Palestinese, che rilancia l’accusa dei tagli delle forniture avvenuti in coincidenza dell’inizio del Ramadan. «In alcune aree non ricevono l’acqua da più di 40 giorni e migliaia di palestinesi per bere devono acquistare l’acqua dai privati a costi elevati che pochi possono permettersi», spiega Rabi sottolineando che tante famiglie palestinesi hanno a disposizione soltanto due, tre, al massimo 10 litri di acqua al giorno. Incandescente la reazione del premier dell’Anp Rami Hamdallah. «Israele – dice – vuole impedire ai palestinesi di condurre una vita dignitosa e usa il suo controllo delle nostre risorse idriche a tal fine. Mentre gli insediamenti coloniali israeliani godono di un servizio idrico senza interruzioni, i palestinesi sono costretti a spendere grandi somme di denaro per comprare la loro stessa acqua». Il distretto di Jenin è il più colpito dai tagli assieme alla zona di Salfit, a sud-ovest di Nablus. Qui la quantità d’acqua disponibile, spiegano le autorità locali, era già stata ridotta della metà nelle settimane passate. I palestinesi avvertono che la Mekorot sarà l’unica responsabile di possibili tragedie umanitarie nei prossimi mesi.
75 litri per persona al giorno è il requisito minimo per non soffrire la sete e nelle aree dove le temperature superano i 35 gradi durante il periodo più caldo dell’anno, la disponibilità d’acqua dovrebbe essere superiore. Una quantità d’acqua che i palestinesi possono soltanto sognare. Al momento, con le quote decise in silenzio dalla Mekorot, gli israeliani, compresi quelli che vivono negli insediamenti ebraici, hanno a disposizione 350 litri al giorno contro i 60 dei palestinesi. In Cisgiordania circa 200.000 palestinesi non hanno accesso diretto all’acqua potabile. Secondo un rapporto diffuso nel 2013 dal centro per i diritti umani al Haq, durante l’estate la Mekorot riduce sistematicamente del 50% l’acqua ai centri abitati palestinesi in modo da garantire un approvvigionamento adeguato agli israeliani, anche quelli delle colonie.
Fonte: il manifesto