Le forze armate israeliane hanno distrutto 1000 metri di conduttura che serviva a fornire l’acqua alle comunità palestinesi. Interruzione della regolare erogazione di acqua corrente per circa un anno.
di Jessica Purkiss
La settimana scorsa, nel nord della Valle del Giordano, l’esercito israeliano ha distrutto 1000 metri di conduttura, che serviva a fornire l’acqua alle comunità palestinesi. A Gerusalemme est, decine di migliaia di palestinesi sono stati privati della regolare fornitura d’acqua corrente per circa un anno. A Gaza le infrastrutture idriche sono state decimate e nelle case che ricevono l’acqua, questa non è ancora potabile. L’acqua e coloro che la controllano sono diventati un elemento chiave dell’occupazione israeliana, con i territori occupati, Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza, in continua lotta per la vitale risorsa.
Prima della nascita di Israele, Chaim Weizmann, che sarebbe diventato il primo presidente del Paese, disse nel 1919: “E’ di vitale importanza non solo garantire tutte le risorse idriche che già affluiscono nel Paese, ma anche avere il controllo sulla loro sorgente.” Rafael Eitan, capo dello staff e ministro dell’agricoltura e dell’ambiente, disse alcuni anni dopo: “Israele deve conservare la Cisgiordania per assicurarsi che i rubinetti di Tel Aviv non restino all’asciutto.”
L’attuale Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto nel 1998: “Quando parlo dell’importanza della sicurezza di Israele…intendo dire che una casalinga di Tel Aviv può aprire il rubinetto e trovare l’acqua che scorre, e che non sia prosciugata a causa di un’improvvida decisione che ha ceduto il controllo delle nostre falde acquifere alle mani sbagliate.”
Nel 1967, l’anno in cui iniziò l’occupazione, Israele ha messo in atto il piano di cui Weizmann aveva parlato già nel 1919. Tutte le risorse idriche palestinesi sono state dichiarate di proprietà dello Stato di Israele e i palestinesi hanno dovuto richiedere dei permessi per sviluppare le proprie risorse. Dopo circa 30 anni vennero firmati gli Accordi di Oslo, che avrebbero dovuto porre fine alla situazione. Dopo altri 20 anni, è evidente che essi hanno invece formalizzato e legittimato un esistente assetto di discriminazione – assetto ancor oggi in atto.
In Cisgiordania il fiume Giordano, una delle principali sorgenti d’acqua, è stato deviato a monte verso il lago di Kinneret, o Tiberiade, o Mare di Galilea, all’interno di Israele, mentre i palestinesi sono fisicamente impossibilitati ad avere accesso alle sue sponde. I palestinesi possono accedere a un quinto delle falde acquifere montane, che costituiscono l’altra principale sorgente, mentre Israele rompe l’equilibrio, e per di più eccede di oltre il 50%, fino a 1,8 volte la sua quota prevista dagli Accordi di Oslo.
Il muro di separazione, i blocchi stradali, i checkpoints ed altre “misure di sicurezza” israeliane limitano ulteriormente l’accesso delle comunità palestinesi alle risorse idriche e ai luoghi di rifornimento. Al tempo stesso i coloni israeliani che vivono nel medesimo territorio godono di abbondanza d’acqua; il consumo di oltre 500.000 coloni israeliani in Cisgiordania è circa sei volte maggiore di quello di 2,6 milioni di palestinesi nella stessa regione.
Per ovviare all’insufficiente quantità, i palestinesi devono comprare l’acqua dalla compagnia nazionale israeliana “Mekorot” – la stessa acqua che Israele estrae dalle falde acquifere montane e che i palestinesi dovrebbero poter estrarre per il proprio consumo.
Jamal Juma, coordinatore della campagna Stop the Wall (fermate il muro), un’organizzazione che fa parte della rete di gruppi che contestano Mekorot, ha detto: “Il vero problema dell’acqua in Palestina non riguarda la scarsità d’acqua. C’è una quantità annua di precipitazioni piovose a Ramallah maggiore che a Londra e il consumo d’acqua pro capite in Israele è superiore alla media europea. Il problema dell’acqua in Palestina è creato da Israele, attraverso il furto sistematico d’acqua e il divieto d’accesso all’acqua. Mekorot è il principale soggetto esecutore di ciò che noi chiamiamo l’apartheid idrico israeliano.”
Per i residenti di Gerusalemme est la situazione è leggermente diversa. Gerusalemme est è passata sotto la giurisdizione israeliana dopo che Israele ha annesso l’intera città. I palestinesi di Gerusalemme pagano le tasse ad Israele e tecnicamente sono qualificati per rientrare nel servizio sanitario, l’assistenza e i servizi sociali israeliani, inclusa la fornitura d’acqua. Tuttavia i quartieri di Ras Shehada, Ras Khamis, Dahyat A’salam ed il campo profughi di Shuafat soffrono di una grave mancanza d’acqua dal marzo scorso, quando i residenti sono rimasti tre settimane senza acqua. Sono stati costretti a comprare bottiglie d’acqua a caro prezzo, e a limitare il loro consumo utilizzando pompe elettriche e container industriali.
A Gaza le infrastrutture idriche sono a pezzi in conseguenza delle continue guerre e blocchi che hanno impedito le riparazioni e la manutenzione. Secondo un rapporto dell’Autorità Palestinese per l’Acqua, alla fine degli ultimi bombardamenti della scorsa estate sono risultati completamente o parzialmente distrutti 26 pozzi e sono stati danneggiati 46 chilometri della rete di approvvigionamento idrico. La rete di distribuzione dell’acqua ha subito danni stimati in 34,4 milioni di dollari.
Il trattamento delle acque reflue è un altro annoso problema a Gaza. Molti residenti non sono collegati al sistema fognario e le acque di scarico domestico si riversano nei pozzi neri, contaminando le falde acquifere nel terreno. Le interruzioni della corrente elettrica e i danni al servizio di trattamento delle acque reflue causati dall’operazione “Piombo fuso”, l’offensiva militare israeliana del 2008-2009, hanno peggiorato la situazione – si parla di 90 milioni di litri di liquami non trattati che si riversano quotidianamente nel Mediterraneo.
Prima dell’ultima offensiva, il 97% dei residenti di Gaza erano collegati ad un sistema idrico pubblico. Tuttavia, il 90% dell’acqua non era potabile e quindi i residenti erano costretti a comprare acqua prodotta da aziende governative o private, o aziende gestite da enti di beneficenza. Il sistema idrico pubblico comporta che le case possano avere acqua corrente, tuttavia le interruzioni di elettricità e di carburante impediscono che l’acqua sia erogata dal sistema.
L’accesso all’acqua è una risorsa molto politicizzata e strumentalizzata in Palestina. Dato che le comunità palestinesi sono in sofferenza – sia per la distruzione dei pozzi, sia a causa dell’acqua che non esce dai rubinetti, sia per le acque nere che scorrono nelle strade – è evidente che, in Palestina, l’acqua non è un diritto.
Fonte: Middle East Monitor
Traduzione di BDS Italia