di Ingrid Colanicchia
Mentre cresce sempre più a livello internazionale il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) – sorto nel 2005 per iniziativa della società civile palestinese come strategia non violenta per liberarsi dalla colonizzazione israeliana (v. Adista Documenti n. 7/14) – nel nostro Paese c’è ancora chi fa orecchie da mercante, continuando a fare affari e a intessere rapporti con aziende israeliane coinvolte nell’occupazione.
Ultima in ordine di tempo l’Acea-Azienda Comunale Energia e Ambiente – l’ex municipalizzata romana, principale operatore italiano nel settore idrico, oggi quotata in borsa, di cui Roma Capitale possiede il 51% – che nel dicembre scorso, durante il vertice Italia-Israele tenutosi a Roma, ha sottoscritto un memorandum d’intesa con la Mekorot Water Company, la società idrica nazionale israeliana, che prevede scambio di esperienze e competenze.
Peccato che, come hanno sottolineato in queste settimane numerose organizzazioni palestinesi e no, tutte le esperienze che la Mekorot potrebbe mettere a disposizione di Acea sono conseguenza del ruolo centrale svolto nell’appropriazione di risorse idriche palestinesi.
Per questo si fa sempre più nutrito il fronte di coloro che chiedono ad Acea di recedere dal memorandum d’intesa. «Come documentato nel rapporto dell’organizzazione palestinese per i diritti umani, Al Haq, la Mekorot sottrae acqua illegalmente dalle falde palestinesi, provocando il prosciugamento delle risorse idriche, per poi fornire l’acqua saccheggiata alle colonie israeliane in Cisgiordania e a Gerusalemme est occupate», scrive il Comitato No Accordo Acea-Mekorot nella petizione lanciata su change.org che ha già raggiunto quasi 5mila firme. «La Mekorot, alla quale sono state “trasferite” nel 1982 dalle autorità militari israeliane tutte le infrastrutture idriche palestinesi per il prezzo simbolico di uno shekel (0,20 euro), pratica inoltre una sistematica discriminazione nelle forniture di acqua alla popolazione palestinese, costretta a comprare la propria acqua dalla ditta israeliana a prezzi decisi da Israele. Riduce regolarmente le forniture idriche ai palestinesi, fino al 50%, a favore delle colonie illegali e dell’agricoltura intensiva israeliana, creando quello che Al Haq chiama “l’apartheid dell’acqua”». «L’organizzazione israeliana Who Profits – prosegue la petizione indirizzata a Giancarlo Cremonesi, presidente dell’Acea, al sindaco Ignazio Marino e al vicesindaco Luigi Nieri, e agli assessori e ai presidenti delle commissioni interessati – definisce la Mekorot come “il braccio esecutivo del governo israeliano” per le questioni idriche nei Territori palestinesi occupati ed afferma che “è attivamente impegnata nella conduzione e nel mantenimento” dell’occupazione militare della Palestina». «Sottoscrivendo l’accordo con la Mekorot, l’Acea si rende complice di queste gravi violazioni. Contravviene anche al proprio Codice Etico, che cita la sua adesione al Global Compact dell’ONU sulla responsabilità sociale delle imprese, il quale mette al primo posto la tutela dei diritti umani. Inoltre, la collaborazione ipotizzata tra Acea e Mekorot va nel senso di uno sfruttamento commerciale delle risorse idriche, in contrasto con la gestione pubblica di un bene universale come l’acqua». Per questo i sottoscrittori dell’appello esigono che l’Acea receda immediatamente dall’accordo stipulato con la Mekorot e chiedono al Comune di Roma, in quanto azionista di maggioranza, di intraprendere tutte le azioni necessarie a questo scopo.
Posizioni ribadite il 31 gennaio scorso quando i comitati per l’acqua pubblica di Roma e Lazio, insieme alla rete per la Palestina, hanno dato vita ad un presidio sotto la sede dell’Acea, durante il quale hanno anche contestato la gestione del bene comune acqua da parte dell’azienda. «Ogni anno – scrivono nel comunicato diffuso al termine dell’iniziativa – milioni di dividendi (64 nel 2012) finiscono nelle tasche di azionisti e dirigenti della Società, mentre il servizio peggiora a vista d’occhio e il diritto all’acqua non viene garantito». Ragion per cui i partecipanti hanno consegnato due lettere di licenziamento, firmate da decine di utenti, all’amministratore delegato Paolo Gallo e al presidente Cremonesi.
Coro di riprovazione cui, negli stessi giorni, si sono uniti gruppi della società civile palestinese – tra cui Palestinian Hydrology Group, Palestinian Agricultural Relief Committees, Palestinian Farmers Union, Union of Agricultural Work Committees – che, allo stesso scopo, hanno preso carta e penna rivolgendo le loro richieste direttamente al Consiglio d’amministrazione dell’Acea e al sindaco Marino.
Un esempio da seguire l’Acea ce l’avrebbe. Giusto nel dicembre scorso la più grande società idrica olandese, la Vitens, ha infatti posto termine ai rapporti di collaborazione con la Mekorot in segno di protesta contro le operazioni della società israeliana in Cisgiordania.
Fermate quel treno!
Ma il caso dell’Acea non è l’unico che interessi il nostro Paese. Nel mirino delle associazioni che lavorano al fianco del popolo palestinese c’è, ormai da anni, anche la Pizzarotti & Co S.p.A. di Parma, in prima linea nella costruzione della ferrovia israeliana ad alta velocità che dovrebbe collegare Tel Aviv a Gerusalemme, tagliando per 6,5 km i Territori palestinesi occupati. Progetto che, come sottolineato dall’organizzazione Al-Haq in un parere legale diffuso nell’estate scorsa, ha già determinato l’illegittima confisca di terre palestinesi nei villaggi di Beit Iksa, Beit Surik e Yalu.
Sono già sei le amministrazioni locali che hanno approvato delibere di condanna della Pizzarotti, accogliendo l’invito della campagna Stop That Train: a Rho, Napoli, Arenella-Vomero, Corchiano e Sasso Marconi si è aggiunto nel dicembre scorso il consiglio comunale di Villar Focchiardo nella Val di Susa. Anche qui, basterebbe seguire l’esempio di altri, come la tedesca Deutsche Bahn che si è ritirata dal progetto nel 2011.
Fonte: Adista