di Clemens Messerschmid e Muna Dajani

I media di tutto il mondo, hanno recentemente osannato un nuovo progetto, sostenuto dalla Banca mondiale che, presumibilmente, "salverebbe" il Mar morto e dimostrerebbe così che la pace è possibile attraverso la cooperazione per la gestione delle risorse naturali. Ma questo progetto rischia solo di peggiorare una situazione già disastrosa, oltre a derubare i palestinesi del loro diritto all'acqua.

Il Mar Morto, il leggendario lago salato delimitato dalla Giordania, dall’odierno Israele e dalla Cisgiordania occupata, si sta restringendo in maniera allarmante di circa 1,5 metri all'anno. Di conseguenza, alberghi che pochi anni fa erano stati costruiti proprio sul litorale distano ormai dozzine di metri dal bordo dell'acqua.

Studi di valutazione ambientale mostrano che alcuni dei danni prodotti — ad esempio al bacino acquifero orientale — sono ormai irreversibili. Per rallentare ed invertire questa catastrofe, Israele e Giordania proposero nel 2002 di costruire un canale lungi 180 chilometri per ricostituire il Mar morto con l'acqua del Mar Rosso. Essi sostenevano — falsamente — che il progetto avrebbe impedito la distruzione del Mar morto, ma il piano non ha mai affrontato la causa più ovvia e diretta: la diversione, soprattutto da parte di Israele, delle acque della parte settentrionale del fiume Giordano, che poi va ad alimentare il lago salato.

Di conseguenza la portata naturale del fiume Giordano — il corso d'acqua in cui la tradizione cristiana ritiene che Gesù sarebbe stato battezzato — è scesa da 1350 milioni di metri cubi (mcm) all'anno di acqua fresca che fluiva al Mar morto, a soli 20 mcm.

Tale quantità rappresenta solo il due per cento del suo flusso originale. E anche questo povero residuo è principalmente costituito da liquami e acqua salmastra che vi vengono riversate da Israele a sud del lago di Tiberiade. Inoltre, le industrie israeliane del Mar Morto — e su scala minore quelle della Giordania — estraggono potassio (usato come fertilizzante) e altri minerali, dall'estremità meridionale del lago. Queste operazioni di estrazione su larga scala stanno accelerando notevolmente la scomparsa del Mar morto. I Palestinesi, nel frattempo — anche se condividono la rive del Mar morto — non hanno mai potuto condividere in ricchezze minerarie della regione, né hanno mai potuto attingere l’acqua fresca dal Giordano.

Conseguenze ambientali devastanti

Il 12 dicembre 2013, Israele, Giordania e la Autorità palestinese hanno firmato un memorandum d'intesa a Washington. Questo accordo non deve essere confuso con i piani della Banca mondiale, che a lungo sono girati, e che prevedevano un mega-progetto riguardante il Mar Morto e il Mar Rosso.

Il nuovo accordo prevede interventi molto più piccoli, per sviluppare un impianto di desalinizzazione ad Aqaba, Porto della Giordania sul Mar Rosso. Ciò produrrebbe acqua fresca che sarebbe venduta alla vicina città di Eilat, nell’attuale Israele.

L'accordo comprende anche una proposta per la costruzione di un condotto per il trasporto della salamoia, che è un sottoprodotto del processo di dissalazione, da Aqaba al Mar Morto, che già si è fortemente abbassato. Questo aspetto per ora è solo un'opzione. L'alternativa sarebbe quella di pompare la salamoia nel Golfo di Aqaba, le cui fragili barriere coralline potrebbero, di conseguenza, subire danni devastanti.

In "cambio" per l'affare di Aqaba-Eilat, Israele esporterebbe più acqua alla Giordania nella zona del lago di Tiberiade a nord, sebbene sia ancora poco chiaro da dove sarebbe presa questa acqua supplementare e potrebbero essere necessari ulteriori trattamenti dell’acqua da parte della Giordania.

Il costo per il progetto di desalinizzazione di Aqaba, sarebbe, stando a stime prudenziali, intorno a 400 milioni di dollari, mentre il costo del famigerato progetto della Banca mondiale per il canale di collegamento tra Mar Rosso e mar Morto è stato stimato ben oltre i 10 miliardi di dollari.

Il progetto della Banca mondiale — ufficialmente conosciuto come Progetto per il collegamento tra Mar Rosso e Mar Morto (RSDSCP) — produrrebbe, secondo quanto sostengono Gruppi palestinesi ed esperti di acqua - danni ambientali irreversibili e favorirebbe Israele nell’espropriare ulteriormente i palestinesi del loro diritto all’acqua. Ciononostante, Israele e, soprattutto, la Giordania e la Banca mondiale pubblicizzano la desalinizzazione e lo scambio dell’acqua di Aqaba come un "progetto pilota", o anche come un primo test per saggiare l'impatto ambientale che avrebbe sul Mar morto l’aggiunta di una miscela di sottoprodotti della desalinizzazione dell’acqua del Mar Rosso.

Si tratta chiaramente di un mezzo per attrarre finanziamenti sul loro vecchio RSDSCP.

Esclusione dei Palestinesi

Va rilevato che i palestinesi sono esclusi da entrambi i progetti, quello di Aqaba e quello di Tiberiade. Le richieste palestinesi di essere inclusi nel progetto di rifornimento del nord della Giordania sono state scartate da Israele. Quindi, questo progetto è solamente un accordo bilaterale tra Israele e Giordania. Un effetto secondario, tuttavia, potrebbe comportare la vendita di acqua supplementare ai palestinesi.

Quest'acqua sarebbe rifornita, secondo quanto affermano fonti riservate, da fonti situate all’esterno del "sistema israeliano" — molto probabilmente non si tratterebbe di acqua fresca, ma di acqua desalinizzata, proveniente dal Mar Mediterraneo, che sarebbe venduta a prezzi proibitivi. Così i diritti dei palestinesi di accedere alle rive del Giordano — il diritto di utilizzare l'acqua perché il loro territorio confina con le rive del Giordano e del Mar Morto — vengono scambiati con la opportunità di sovvenzionare la crescente industria israeliana di dissalazione.

Ironicamente, le imprese chimiche e petrolifere israeliane pesantemente coinvolte nella dissalazione comprendono la Dead Sea Works, la quale è responsabile di gran parte della distruzione ambientale nella regione.  

Lo scopo non sarà raggiunto

L'impianto previsto di Aqaba fornirà solo una moderata quantità di acqua desalinizzata (30-40 mcm all'anno) alla Giordania, che soffre di una forte carenza di acqua. Allo stesso tempo, la vicina a Eilat, che consuma già il doppio di acqua per usi domestici rispetto al resto d'Israele, otterrebbe un importo analogo.

D'altra parte, l’impianto di Aqaba sarebbe in grado di far arrivare soltanto un 200 mcm di acqua all'anno al Mar Morto, quantità che è molto lontana da quella necessaria per invertire o addirittura bloccare l’abbassamento drastico del livello del lago — e comunque si rischierebbero ulteriori danni all’eccezionale ecosistema della regione.

Oggi, anziché esercitare pressioni a livello internazionale per invertire la deviazione ormai pluridecennale del fiume Giordano e la cattiva gestione dello stesso – che hanno causato la catastrofe ambientale in corso - la Giordania e l’Autorità Palestinese stanno firmando degli accordi per rendere permanente questa situazione insostenibile. Il loro progetto ignora inoltre anche le preoccupazioni ed i diritti degli altri due paesi toccati dal Giordano, il Libano e la Siria.

Né i governi che stanno concludendo gli accordi, né i media, che elogiando il piano, hanno preso seriamente in esame le conseguenze o le alternative.

E nemmeno prestano attenzione al semplice senso comune, che dice che vi è un forte bisogno di acqua in una regione disperatamente arida e con una popolazione che sta crescendo velocemente.

Il surplus di acqua di Israele

La modesta quantità di acqua che la Giordania potrebbe guadagnare da Israele nel nord sarebbe a malapena sufficiente per soddisfare le esigenze della crescente popolazione, soprattutto se si considera che attualmente stanno affluendo nel paese centinaia di migliaia di rifugiati provenienti dalla Siria. Mentre, come già detto, i Palestinesi otterrebbero, presumibilmente, soltanto l’accesso all'acqua desalinizzata israeliana, e comunque a costi molto elevati.

Né l’accordo prevede che la Giordania ed i Palestinesi possano ottenere un qualsiasi aumento delle rispettive quote di acqua del fiume Giordano, perpetuando così uno status quo fortemente iniquo, in cui Israele fa la parte del leone.

Infatti la struttura dell'accordo è molto rivelatrice: durante lo scorso decennio, Israele è diventato una potenza regionale per quanto riguarda l’acqua e gode di un eccesso di acqua. Ciò è dovuto agli interventi di desalinizzazione e di riutilizzo delle acque reflue su larga scala, oltre al controllo che storicamente si è assicurato su tutte le risorse d'acqua dolce nella Palestina storica.

Israele dunque non ha "bisogno" dell'acqua, per non parlare di “più acqua”: ora ha un interesse ben diverso, quello di esportare e vendere acqua. Infatti, venderà a palestinesi e giordani quell’acqua che dovrebbe spettare loro di diritto.

Non stupisce che il ministro israeliano per l’energia e per l’acqua, Silvan Shalom, abbia salutato l'affare come un "storico accordo che realizza un sogno presente da molti anni e il sogno di Herzl” (Theodore, il fondatore del sionismo).

Nessun vantaggio per palestinesi

Ci sono molte contraddizioni nei diversi comunicati stampa e nelle dichiarazioni rilasciate a dicembre sul trattato. Sembrerebbe che tutte le parti abbiano interesse a mantenere segreti i termini del presente memorandum.

Israele ha buone ragioni per festeggiare questa truffa come una svolta storica, per i propri interessi, piuttosto che per la pace. Così fanno gli americani che hanno ben poco da mostrare come risultato dei loro sforzi per il "processo di pace".

La Giordania, a corto di contanti e povera di acqua, è disperatamente alla ricerca di altra acqua, qualsiasi essa sia, e conta sulla speranza che un messaggio di "pace e cooperazione" possa attirare donatori internazionali per pagare i gli enormi costi infrastrutturali.

I palestinesi, tuttavia, non hanno nulla da guadagnare, il che rende ancora più sconcertante che l'autorità palestinese presenti l’accordo sotto una luce positiva.

Perché i Palestinesi sentono il bisogno di dare legittimità alla falsa promessa che questo è un accordo regionale per l’acqua, quando esso invece porterà solo ad approfondire la dipendenza dall'occupante, tra l’altro in termini sfavorevoli e col rischio di venire ulteriormente spogliati del proprio diritto storico sull’acqua? Naturalmente, sotto occupazione, i dirigenti palestinesi hanno poco o nessun accesso a fonti d'acqua aggiuntive di cui c’è un bisogno estremo.

Ma perché questo progetto non è divulgato e discusse in pubblico? Perché la ANP diffida in questo modo del popolo che dovrebbe rappresentare? Perché, ancora una volta, l’ANP pone il destino dei Palestinesi nelle mani di Israele, Stati Uniti e Banca mondiale?

L’Autorità Palestinese ignora i Palestinesi

Nell’ottobre del 2013, le organizzazioni palestinesi che si occupano delle questioni dell’acqua hanno espresso loro forte opposizione al mega-progetto della Banca mondiale riguardante la costruzione del canale di collegamento Tra il Mar Rosso e il Mar Morto, esortando l’ANP e l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina a condannare e fermare ogni forma di cooperazione con il progetto della Banca mondiale e dei suoi partner.

Come risposta, l'ANP rappresentata dall'autorità palestinese dell'acqua, le ha ignorate e escluse completamente dalle consultazioni e dalle decisioni ed infine ha presentato a sorpresa il nuovo accordo di Aqaba-Tiberiade.

Infine, perché l’ANP si è sentita costretta a firmare un accordo in cui nessuna delle sue richieste, per non parlare degli interessi strategici "storici", non sono state nemmeno lontanamente affrontate o accolte? Può essere che, ancora una volta, come spesso nel passato, l’ANP sia stata costretta a firmare?

Con Israele e il re di Giordania che sostenevano fortemente il progetto, il capo dell’ANP, Mahmoud Abbas si sarebbe sentita fortemente pressato a non mandare a monte l’accordo di scambio per la desalinizzazione.

L'accordo sull’acqua tra Giordania-Israele-Autorità Palestinese è un esempio degli aspetti che hanno caratterizzato tutti gli altri accordi firmati durante il "processo di pace": sacrifica i diritti dei palestinesi sull'altare degli interessi israeliani e stranieri, si adegua all'ingiusto status quo e si prepara ad accettare ulteriori espropri e discriminazioni come passi verso la "pace".

Clemens Messerschmid è un idrogeologo tedesco che ha lavorato dal 1997 su progetti idrici palestinesi ed internazionali in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Attualmente, si trova a Ramallah, come membro della Fondazione Rosa Luxemburg e lavora per un dottorato in idrogeologia.

Muna Dajani è un attivista e ricercatrice palestinese sull’ambiente che risiede a Gerusalemme; lavora sui diritti dell’ambiente e dell'acqua, e sull’impatto sociale dei cambiamenti climatici.

Fonte: Electronic Intifada

Traduzione del Comitato No Accordo Acea Mekorot