di Ahmad Tibi
29/7/2011
Alla libertà d'espressione in Israele è stato inferto un duro colpo questo mese quando il Parlamento ha approvato una legge antiboicottaggio che ha come bersaglio individui o organizzazioni che promuovono pubblicamente il boicottaggio contro Israele o qualsiasi area sotto il suo controllo.
Poiché credo che si debba porre fine all'occupazione israeliana dei territori palestinesi, in uguali diritti per palestinesi ed ebrei, e nel diritto al ritorno dei profughi palestinesi costretti ad abbandonare le loro case e terre nel 1948, sostengo il boicottaggio - e il fare appello ad altri a boicottare – contro tutte le compagnie israeliane che contribuiscono a perpetuare queste ingiustizie.
Ma questo nuovo limite legale per la libertà d'espressione mi potrebbe mandare in bancarotta.
Gli ufficiali israeliani non mi manderanno in prigione per aver sostenuto pubblicamente tali boicottaggi, ma gruppi di coloni mi possono chiedere di pagare dei danni economici, senza nemmeno dover mostrare alcun danno effettivo. Inoltre, alle organizzazioni che sostengono il boicottaggio potrebbe essere negato il diritto di ricevere donazioni deducibili dalla tasse e finanziamenti statali. Questa settimana, ho fatto appello alla Corte Suprema per questa legge.
Un membro della Knesset, il nostro Parlamento, Alex Miller, ha già minacciato di farmi causa per le mie parole - in particolare il mio appello, che continuo a fare oggi, di boicottare l'insediamento illegale ebraico di Ariel. Un tale appello sarebbe irrilevante in una democrazia vera che rispetti la libertà d'espressione. Criticare una popolazione che ha espropriato i palestinesi e che ci discrimina da decenni dovrebbe essere un diritto salvaguardato.
Forse la mia immunità parlamentare mi proteggerà, ma che può essere facilmente revocata. Inoltre, l'immunità parlamentare non proteggerà gli israeliani che chiedono ad altri di non comprare prodotti di bellezza dell'Ahava realizzati con le risorse naturali estratte illegalmente dalle rive del Mar Morto occupato e in una fabbrica in un insediamento illegale in Cisgiordania, o che chiedono di non comprare vini provenienti da territori occupati delle Alture del Golan, o di non fare contratti con le imprese edili che costruiscono unità abitative esclusive e discriminatorie per i coloni a Gerusalemme est occupata.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha orgogliosamente assunta la paternità del disegno di legge per il suo partito Likud, dichiarando: "Sia chiaro, ho autorizzato la legge. Se non l'avessi autorizzata, non sarebbe arrivata fin qui..." Data la calda accoglienza che Netanyahu ha avuto al Congresso durante la sua visita negli Stati Uniti qualche settimana fa, temo che la maggior parte dei membri del Congresso non si mobiliterà neanche per una minima protesta, allo stesso tempo in cui Israele, un alleato chiave americano che si autodefinisce "l'unica democrazia in Medio Oriente", divaga nel processo legislativo antidemocratico e chiaramente bigotto.
La legge antiboicottaggio del Parlamento israeliano è un tentativo senza precedenti per minare la resistenza nonviolenta all'oppressione israeliana. Molte persone credono che rendere più difficile la nonviolenza vuol dire fare inevitabile la violenza. Io non ci credo. L'approvazione di una tale legislazione irresponsabile e reazionaria mette in evidenza l'ingiustizia israeliana verso i Palestinesi lunga di decenni e ci regala in qualche modo una vittoria politica. Attraverso questa legge, Israele ha attirato l'attenzione alla sua violenta occupazione dei territori palestinesi e le sistematiche violazioni del diritto internazionale.
I coloni e i loro rappresentanti eletti oggi regnano sul panorama politico israeliano, e pochi hanno il coraggio di opporsi a loro. Questa reticenza di fronte a ripetuti abusi da parte dei coloni si riflette in modo negativo sulla società israeliana e sul governo degli Stati Uniti.
Uno dei principali quotidiani israeliani, Haaretz, ha notato in un editoriale che la legge antiboicottaggio "è un atto politicamente opportunista e antidemocratico, l'ultima di una serie di leggi oltraggiosamente discriminatorie e di esclusione emanata durante l'ultimo anno, e accelera il processo di trasformazione del codice legale di Israele in un documento sconcertatamente dittatoriale. Si proietta l'ombra minacciosa di reato su ogni petizione, ogni boicottaggio, o addirittura editoriali sulla stampa. Molto presto, ogni dibattito politico sarà messo a tacere. "
Haaretz potrebbe avere ragione. Preferisco credere, tuttavia, che la sovraesposizione della estrema destra in Israele finirà per risvegliare le persone di buona volontà negli Stati Uniti e in Europa a mettere maggiore pressione sul governo israeliano perché cambi rotta. Nonostante le speranze dei politici statunitensi, Israele non ha intenzione di cambiare da solo. Solo una pressione internazionale molto concreta costringerà il governo israeliano a cambiare. Fino ad allora, possiamo aspettarci altre leggi discriminatorie e antidemocratiche da questo Knesset.
Ahmad Tibi, un arabo israeliano, è vice presidente del Parlamento israeliano.
Fonte: New York Times
Traduzione a cura di Stop Agrexco Italia