25 maggio, 2011
Vi sono alcuni valori sui quali generalmente i sindacalisti si trovano d'accordo: il potere dell'azione collettiva, la sicurezza economica di base, le opportunità di un buon lavoro. Le cose si imbrogliano quando quelle questioni lisce come il pane e burro si scontrano con uno dei più terribili e amari conflitti politici della storia moderna. L'incrociarsi del movimento dei lavoratori con il conflitto israelo-palestinese aggiunge un ulteriore intreccio alla dilagante e complessa battaglia per la terra, la sovranità e la giustizia nel Medio Oriente.
Le vedute di sinistra e progressiste vengono filtrate attraverso un curioso prisma quando si riferiscono a Israele e Palestina. Da entrambe le parti gli impulsi nazionalisti e rivoluzionari hanno originato versioni contrapposte della storia; le memorie spezzate del dislocamento e del trauma palestinese scoppiano da un lato del muro, contro il fervore ideologico e un aspro senso del diritto di Israele.
La società civile, inclusa la classe lavoratrice, è stata militarizzata da entrambi i lati, con alcuni gruppi che si appellano a una resistenza globale ed altri ad una cooperazione formale.
Oggi, la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) è emersa come un fronte globale nonviolento per combattere l'occupazione israeliana; l'agenda economica del movimento ha messo in primo piano le posizioni dei lavoratori.
La campagna BDS ha acquistato una veloce diffusione internazionale tra i difensori del lavoro, stimolati attraverso le campagne di solidarietà dai sindacati e dai gruppi di società civile. L'insieme degli sforzi organizzativi è culminato, precedentemente in questo mese, nella diffusione di un manifesto della Coalizione dei Sindacati Palestinesi per la BDS.
Facendo seguito alla conferenza dei sindacati palestinesi sulla BDS dell'ultimo mese, la "Dichiarazione dei Principi e Appello al Sostegno dei Sindacati Internazionali alla BDS" ha citato una miriade di ingiustizie patite dai Palestinesi negli anni recenti, inclusa la discriminazione sistematica; l'asserita confisca del salario dei lavoratori palestinesi; "il mantenimento di attivi interessi commerciali nell'iniziativa di insediamenti illegali di Israele"; e forse soprattutto, la devastazione militarizzata dei territori occupati, vuoi attraverso l’attacco diretto (come la guerra a Gaza nel 2008-2009), vuoi con il progressivo strangolamento socioeconomico attraverso l'isolamento forzato.
Alcune azioni dirette raccomandate comprendono:
- Boicottaggio di compagnie israeliane e internazionali (come Elbit, Agrexco, Veolia, Alstom, Caterpillar, Northrop Grumman, ecc.) e di istituzioni che sono complici dell'occupazione e della violazione della legge internazionale da parte di Israele...
- Pressione sui governi per sospendere gli Accordi sul Libero Commercio, per porre fine al commercio di armi e alle relazioni militari con Israele, con l'intenzione di interrompere alla fine tutti i legami diplomatici con questo Paese...
- Appello ai lavoratori portuali di tutto il mondo per boicottare il carico e lo scarico delle navi israeliane, analogamente all'eroico gesto compiuto dai lavoratori portuali di tutto il mondo nel sospendere il commercio marittimo con il Sud Africa per protesta contro il regime di apartheid, e
- Appello ai sindacati di tutto il mondo per riesaminare e rompere tutti i legami con lo Histadrut (sindacato israeliano).
Gli operai palestinesi sono stati una delle molte forze della società civile profondamente scosse dal massacro della Flottiglia della Libertà, la missione di attivisti che le forze israeliane attaccarono circa un anno fa. Unendosi a uno scalpore mondiale, la Federazione Generale Palestinese dei Sindacati accusò lo Histadrut di complicità nell'aggressione militare e "reagì con stupore all'irresponsabile presa di posizione della Federazione Generale del Lavoro in Israele, Histadrut, concernente i brutali attacchi delle forze israeliane contro civili, sindacalisti compresi, sulla Flottiglia della Libertà".
Disegnando una linea di battaglia in mezzo al mondo del lavoro, la dichiarazione arrivava al culmine di un biasimo crescente nei mesi precedenti. La Conferenza Internazionale dei Sindacati (ITUC) collaborò a negoziare un accordo di massima per l'unità della classe operaia israelo-palestinese che comprendeva, almeno in teoria, la risoluzione delle dispute finanziarie e l'assicurazione di un trattamento più equo per i lavoratori palestinesi.
Ma le dichiarazioni conciliatorie fallirono nel porre rimedio alla diseguaglianza endemica della struttura sociale sotto l’occupazione. L'assalto a Gaza e l'attacco alla Flottiglia sottolinearono le lamentele palestinesi e sembrarono provare, nonostante gli sforzi ben intenzionati dell'ITUC, che una formale riconciliazione era senza speranza.
La dichiarazione dello Histadrut sul conflitto di Gaza mostrava una schisi quasi surreale tra l'igienizzata retorica della solidarietà e la realtà della lotta politica:
"Crediamo fermamente che è una questione dell'auto-interesse israeliano e palestinese di avere cittadini persuasi e moderati, che non saranno attratti dall'estremismo o dal terrorismo.
Lo Histadrut non vuole avere a che fare con il pomo della discordia politico nel conflitto arabo-israeliano. Per noi è chiaro che il conflitto tra le due parti è un gioco a risultato nullo. Crediamo che nella nostra regione i sindacati sono i veri rappresentanti delle zone rurali e, come tali, abbiamo il potere di cambiare l'atmosfera e di creare una più forte comprensione reciproca. Il nostro ruolo è di proteggere i diritti dei lavoratori, a prescindere dalle differenze di religione, razza e sesso".
La dichiarazione potrebbe sembrare più plausibile se non fosse per i profondi legami storici dello Histadrut con il movimento Sionista sin dai suoi primi giorni, e per il ruolo della classe lavoratrice sionista nel rendere popolare e consolidare l'ideologia di uno stato ebraico. L'intreccio tra socialismo, mondo del lavoro e Sionismo rimane oggi un pilastro della narrazione fondativa di Israele.
Da quando la Primavera Araba è dilagata nel Medio Oriente e nel Nord Africa, l'attivismo pro-palestinese ha assunto una nuova valenza nel mondo, da essere messa presto alla prova nella controversa spinta verso una situazione politica palestinese unificata. La Palestina non rappresenta più un puro simbolo di oppressione in Medio Oriente, ma una dura prova di cambiamento strutturale.
Recentemente su Al Jazeera, le parole di Khaled Entabwe, un attivista della gioventù israelo-palestinese appartenente a Baladna, l'Associazione per la Gioventù Araba, hanno catturato la speranza e l'ansia del momento attuale:
"I nostri nuovi modi di organizzarci comprendono una sfida diretta al fortificato potere istituzionale. Non vogliamo fare soltanto memoria del passato, ma vogliamo anche chiedere un nuovo futuro".
Mentre la condizione palestinese per lungo tempo ha avuto la funzione di stimolare l'attivismo nel mondo arabo, il potere dei movimenti laici pro-democrazia nella regione risuona ora nella Palestina come una convalida della resistenza delle aree rurali.
Se quel circuito a "feed-back" può essere incanalato per rinvigorire l'idea della liberazione palestinese, allora potremmo finalmente vedere i fini e i mezzi ben combinarsi nella lotta per sconfiggere l'imperialismo, la violenza e la dittatura. La resistenza pacifica senza compromessi è più dura che fare la guerra, ed è un buon lavoro per un forte movimento dei lavoratori.
Michelle Chen
Il lavoro di Michelle Chen è apparso su AirAmerica, Extra!, Colorlines e Alternet. Contribuisce regolarmente al blog dei diritti dei lavoratori Working In These Times di In These Times, ed è membro del comitato editoriale di In These Times. Ha anche un blog a Colorlines.com. Può essere contattata all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Fonte: In These Times
Traduzione di Vincenzo Pezzino