Negli ultimi anni, i Palestinesi e i movimenti di solidarietà a sostegno dei diritti dei Palestinesi hanno avuto successo nell’attirare l’attenzione su Israele come stato di apartheid, che merita lo stesso trattamento del Sud Africa dell’apartheid. Eminenti personaggi come l’ex presidente statunitense Jimmy Carter, l’arcivescovo del Sud Africa Desmond Tutu, il Relatore Speciale dell’ONU sui Diritti Umani Richard Falk e molti altri, hanno usato il termine apartheid in varie occasioni per riferirsi al regime israeliano di evidenti violazioni del diritto internazionale. Ma che cos’è l’apartheid ed esattamente perché Israele è uno stato di apartheid? Soprattutto, perché le persone di coscienza in tutto il mondo dovrebbero partecipare al movimento di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni contro Israele che è andato crescendo nel corso degli ultimi sei anni? Questa domande sono diventate opportune alla luce delle Carte Palestinesi (Palestinian Papers) che sono state rese pubbliche nel gennaio di quest’anno e che smascheravano l’intransigenza d’ Israele nei negoziati di pace Israelo-Palestinesi, e mostravano l’impotenza dell’Autorità Palestinese nella difesa dei diritti dei Palestinesi.
Che cos’è l’apartheid?
Apartheid è una parola afrikans che significa separazione o separatezza. Anche se esso fu usato inizialmente nel contesto sud-africano e prese la forma di una chiara istituzionalizzazione edi una separazione legalizzata tra i coloni bianchi ed il resto della popolazione, piu’ tardi apartheid assunse una dimensione legale internazionale. Come risultato, il “crimine di apartheid” non è piu’ esistito come un crimine limitato allo stile di apartheid del contesto sud-africano. Piuttosto, il crimine è venuto ad assumere una definizione legale spacifica che è stata adottata dalla Satuto di Roma 2002 della Corte Criminale Internazionale (ICC) ed ha le sue basi nella Convenzione Internazionale sulla Soppressione e Punizione del Crimine di Apartheid nel 1973.
Secondo la Convenzione, il crimine di apartheid è definito “un crimine contro l’umanità … risultando atti inumani dalle politiche e pratiche di apartheid e politiche e pratiche simili di segregazione e discriminazione razziale, come definito nell’ articolo II della Convenzione, sono crimini che violano i principi del diritto internazionale”. L’articolo II della Convenzione definisce il crimine come “atti inumani commessi allo scopo di stabilire e mantenere il dominio di un gruppo razziale su di un altro gruppo razziale ed opprimerlo sistematicamente”, ed include anche “politiche e pratiche di segregazione razziale e discriminazione simili a quelle praticate nel Sud Africa”. Mentre lo stile sud-africano di apartheid è un contrassegno giuridico, la reale causa determinante del crimine di apartheid è se si attuino o meno politiche e pratiche di oppressione che rientrano nella lista delle violazioni incluse nell’Articolo II della Convenzione.
È particolarmente importante che la definizione del crimine parli in termini di oppressore ed oppresso (non di maggioranze e minoranze), e che proibisce l’istituzionalizzazione di discriminazioni razziali ed oppressione in cui il razzismo sia legalmente inserito attraverso le istituzioni statali. La discriminazione razziale è definita nel diritto iternazionale come una distinzione basata sulla raza, sul colore, sulla discendenza, o sulle origini etniche.
Perché Israele è uno stato di apartheid?
Basandosi sulla definizione di apartheid secondo il diritto internazionale, diventa chiaro come e perché Israele sia qualificato come stato di apartheid in rapporto ai Palestinesi. In Cisgiordania ed a Gaza, l’occupazione israeliana si è sviluppata in un sistema pervasivo di apartheid, che include posti di blocco, il Muro, la demolizione delle case, la distruzione delle proprietà, la negazione dell’accesso all’educazione, imprigionamenti arbitrari, e strade esclusivamente per Israeliani. La politica israeliana di apartheid si estende anche alla popolazione palestinese dei rifugiati espulsi dalle loro terre nel 1948 per fare spazio alla creazione dello stato di Israele – nel negare il permesso al ritorno di questi rifugiati Israele viola l’articolo 2c della convenzione sull’apartheid adottata dall’ICC, come gli altri obblighi previsti dalla legge internazionale inclusa nella Risoluzione ONU 194.
Ciò che è più spesso contestato, e che sarà qui trattato, è l’uso del termine apartheid per descrivere le pratiche di Israele verso i cittadini arabi, cioè, quei Palestinesi che rimasero in Israele dopo la creazione dello stato e che ora mantengono la cittadinanza israeliana.
Palestinesi cittadini di Israele
Adalah: il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele ha documentato oltre 20 leggi che discriminano i cittadini palestinesi d’Israele (per approfondimenti vedere la recente pubblicazione “Rapporto sull’ineguaglianza”). Come il notorio atto di registrazione della popolazione sud-africana, Israele ha una propria Legge di Registrazione della Popolazione (1965) per cui ogni cittadino deve registrare la propria nazionalità secondo la definizione che ne dà lo stato. In Israele, gran parte della vita è organizzata sulla base della nazionalità, che è definita primariamente come ebrea o araba (esistono anche altre categorie come drusi e beduini). La nazionalità “israeliana” non ha posto all’interno di questo sistema, come è dimostrato dalle ordinanze della Suprema Corte del paese che rigettano le cause di cittadini che chiedono di essere registrati come Israeliani.
Sulla base di questa divisione per nazionalità, il governo israeliano ha creato un sistema di cittadinanza a due livelli, che privilegia la nazionalità ebraica. Fra le leggi che discriminano i privilegi individuali degli ebrei è la Legge del Ritorno (1950). Secondo questa legge, tutti gli ebrei possono immigrare in Israele e richiederne la cittadinanza, secondo la Legge della Cittadinanza. All’opposto, Israele nega ai Palestinesi espulsi da Israele nel 1948 il diritto al ritorno previsto dalla legge internazionale. Inoltre, ai Palestinesi non è consentito di sposare un ebreo, e ciò crea difficoltà, con l’interdizione della riunificazione familiare, per coloro che sposino altri Palestinesi che non sono già cittadini israeliani, come quelli della diaspora. La Legge di Fedeltà recentemente approvata è l’esempio più recente della discriminazione basata sulla nazionalità, che stabilisce che tutti i nuovi cittadini non ebrei sostengano un giuramento di fedeltà all’alleanza con Israele come stato “ebraico” e “democratico”.
In termini di politica della terra, Israele è di nuovo paragonabile con il Sud Africa, dove l’ Atto di Aree di Gruppo (1950) riservava legalmente l’87% della terra sud-africana ai bianchi. In Israele, il 93% della terra è riservata ai cittadini israeliani ebrei. Un documento rilasciato dal Comitato Nazionale per il boicottaggio elenca le restrizioni per i Palestinesi nell’uso di queste terre.
Secondo questo rapporto, il 17% della terra riservata in nessuna circostanza può essere di proprietà dei Palestinesi o presa in affitto da loro. Sulle rimanenti terre, i Palestinesi sono di fronte ad un numero di ostacoli discriminatori che rendono difficile affittare questi appezzamenti di terreno. Per esempio, mentre agli ebrei viene concesso un termine di affitto di 49 anni, i Palestinesi spesso ricevono fitti per 2 o 3 anni. Questo, ovviamente, non include la situazione di Gerusalemme Est, dove il governo israeliano ha confiscato e continua a confiscare proprietà legalmente possedute da Palestinesi.
Queste politiche sono solo pochi esempi delle molte leggi che dimostrano il mito che e’ la democrazia israeliana. Queste leggi discriminatorie sono esistite dalla fondazione dello stato di Israele, e sono state sostenute dai governi israeliani sia liberali che conservatori. La tensione tra leggi, come quelle del Giuramento di Fedeltà e della Registrazione della Popolazione, e la professione israeliana di impegno per i valori democratici, pervade molti aspetti della vita politica. Per esempio, per quanto riguarda il campo delle candidature alle elezioni politiche, in Israele i partiti politici palestinesi devono essere d’accordo con il sostegno di Israele come stato ebraico e democratico. In questo contesto, il processo elettorale è diventato un poco più che una copertura della discriminazione razziale. Mentre le leggi israeliane possono provvedere alla protezione di donne e di comunità omosessuali, i Palestinesi non ricevono diritti legali ad essi comparabili. Per molti osservatori, è questa discriminazione istituzionalizzata contro i Palestinesi all’interno del sistema politico, legale e sociale israeliano che ha sollevato un parallelismo tra il trattamento dei Palestinesi israeliani ed i neri del Sud Africa.
Il movimento BDS
Un numero di fattori ha condotto alla caduta il regime di apartheid del Sud Africa, inclusa la disintegrazione dell’Unione Sovietica. Molti, specialmente in Sud Africa, convengono che anche il BDS ha giocato un ruolo importante nel portare alla fine il regime del Sud Africa. Per il movimento BDS palestinese, le rivoluzioni che spirano attraverso il mondo arabo possono rappresentare un momento di cambiamento simile alla caduta del sistema sovietico. Insieme con la crescita dello stesso movimento di BDS, il momento Sud Africa per i Palestinesi infatti potrebbe essere arrivato, come ha significativamente asserito Omar Barghouti, un fondatore del movimento.
Nel 2005, la società civile palestinese lanciò un appello pubblico a sostegno del BDS, che seguiva l’iniziativa del 2004 di una Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (PACBI) specificamente per il boicottaggio accademico e culturale. L’appello del 2005 trovò rapidamente l’adesione di oltre 170 organizzazioni della società civile palestinese. Attualmente, esiste un appoggio al consenso nella società palestinese a sostegno del movimento. Il BDS può prendere diverse forme di boicottaggio, incluse quelle militare, economico, culturale, accademico, sportivo, e turistico. Qualsiasi sia il fuoco, il BDS è uno strumento a lungo termine, fatto dimostrato dai decenni di BDS della lotta in Sud Africa.
Prendendo il suo inizio dai successi della lotta antiapartheid del Sud Africa, il movimento palestinese di BDS si basa sui diritti radicati nel diritto internazionale e nei principi dei diritti umani, giustizia, libertà ed uguaglianza. Esso è il primo focalizzato sulla liberazione e l’uguaglianza di diritti per i Palestinesi, piuttosto che sotto il cappello dello stato. Per queste ragioni, il movimento BDS non prende posizione in modo primario sulla soluzione di uno o due stati. Invece, il movimento concerne principalmente tre richieste: 1) la fine dell’occupazione delle terre arabe; 2) l’ottenimento di eguali diritti per i Palestinesi cittadini d’Israele, e 3) l’attuazione del diritto al ritorno per i Palestinesi rifugiati.
Per il movimento, queste richieste non possono essere oggetto di trattativa, senza sacrificare la dignità palestinese. Per gli ultimi mesi,come i cittadini arabi nel mondo dal Medioriente e dal Nord Africa si sono sollevati contro l’autoritarismo e l’oppressione, cosìuna riaffermazione della dignità araba è stata al centro delle loro richieste. Similmente, i Palestinesi sono stati a combattere per la propria dignità per oltre 60 anni, il movimento BDS rappresenta una potente forma di resistenza nonviolenta ed etica di fronte all’occupazione, al colonialismo-colonizzazione ed all’apartheid.
Boicottaggio Accademico e Culturale
Il boicottaggio accademico e culturale di Israele è stato forse la più controversa ripetizione del movimento BDS palestinese. Il più importante principio al cuore delle linee guida del boicottaggio accademico e culturale è il mettere a fuoco le istituzione piuttosto che gli individui. Ciò significa che il BDS non prende a bersaglio singoli cantanti, rappresentanti culturali o accademici, ma le istituzioni con cui essi hanno rapporti.
Molto recentemente, l’Università di Johannesburg (UJ) in Sud Africa ha compiuto l’audace e storico passo di recidere i suoi legami istituzionali con la Bengurion University (BGU), citando la complicità della BGU con le violazioni israeliane dei diritti dei Palestinesi, come le pratiche discriminatorie contro i Palestinesi della stessa BGU. Da notare che come il boicottaggio non è contro individui, la decisione dell’UJ dichiarava esplicitamente che le collaborazioni personali tra professori di ciascuna delle istituzioni potevano continuare. Similmente, il boicottaggio non si prefigge di precludere conferenze di oratori ed università israeliani in giro per il mondo, lì dove queste conferenze non siano sostenute da istituzioni israeliane.
Il boicottaggio accademico e culturale è una parte importante della lotta a causa del ruolo che esso svolge nel cambiamento della percezione e della considerazione. Il governo israeliano è attento a questo ed ha dedicato enormi risorse ed un’intera campagna chiamata “Marchio Israele” per incrementare l’immagine internazionale del paese e ripulire le sue attività illegali dando una facciata liberale al regime. Il boicottaggio accademico e culturale mira ad opporsi a ciò, perché sviluppa collegamenti più profondi tra le popolazioni basandosi su principi comuni e condividendo l’opposizione contro l’apartheid.
Conclusioni
Israele ed i suoi difensori hanno registrato l’efficacia ed il successo del BDS ed hanno cominciato a sfidare il movimento stanziando fondi contro le attività del BDS, come facendo passare leggi che effettivamente criminalizzano le attività di BDS in Israele. Di fronte a questo contro-movimento, è tempo per le persone di coscienza in tutto il mondo di fare di più che muovere le labbra sulla lotta palestinese per la giustizia e la libertà, e di sostenere e sviluppare tutto il boicottaggio contro le politiche di apartheid d’Israele. Davanti ad un più potente e progressivo Medioriente che sembra emergere, i Palestinesi meritano non meno della dignità per quello che essi hanno così pazientemente atteso e per aver lottato per oltre 60 anni.
*Sami Hermez ha ricevuto il PhD in Antropologia presso l’Univerità di Princeton, ed è attualmente un “visiting fellow” al Centro di Studi Libanesi del St. Antony College, Università di Oxford.
Fonte: Muftah
Tradotto da Flavia Lepre