17 Dicembre 2010
di Ali Abunimah
I palestinesi hanno già fatto molte rinunce dal 1948. Tocca a Israele porre fine alla sua campagna di pulizia etnica per far proseguire il processo di pace.
Il vice-ministro israeliano degli affari esteri, Danny Ayalon, dipinge un quadro di un Israele dal volto innocente che desidera la pace, quasi implorando i palestinesi intransigenti a venire negoziare per trovare una soluzione "due-stati-per-due-popoli " ("Who's stopping the peace process?" 14 dicembre). Ma questo non somiglia in alcun modo alla realtà dell'esperienza dei Palestinesi e a ciò che gran parte del mondo vede ogni giorno.
Ayalon sostiene che gli insediamenti, di cui Israele si rifiuta di fermare la costruzione nei territori occupati, sono fumo negli occhi e non costiutiscono un ostacolo alla pace, perché nei "43 anni da quando Israele ha acquisito il controllo della Cisgiordania, i centri abitati degli insediamenti rappresentano meno dell' 1,7% della superficie totale".
Ma cerchiamo di ricordare a noi stessi alcuni fatti che non sono in discussione. Dal momento che l'OLP e Israele hanno firmato l'accordo di pace di Oslo nel 1993, il numero dei coloni israeliani nei territori occupati della Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, è triplicato a oltre mezzo milione. Ayalon concentra il discorso, in modo ingannevole, sulle "aree edificate" ignorando il fatto che gli insediamenti ora controllano il 42% della Cisgiordania, secondo un rapporto dello scorso luglio del gruppo israeliano per i diritti umani B'Tselem.
B'Tselem sottolinea che ci sono al momento più di 200 insediamenti israeliani "che sono collegati l'uno all'altro, e ad Israele, da una complessa rete di strade". Queste strade, insieme a varie "zone di sicurezza" dalle quali sono esclusi i Palestinesi, attraversano la terra palestinese e isolano i Palestinesi in miserabili enclavi, spesso circondate da mura, simili a ghetti.
Nonostante una "moratoria" di 10 mesi che si è conclusa nel mese di settembre, Israele non ha interrotto la costruzione degli insediamenti per un solo giorno. La costruzione ha continuato in modo praticamente ininterrotto, secondo l'associazione israeliana Peace Now, e in poche settimane dal termine ufficiale della "moratoria", i coloni hanno più che compensato il leggero calo di nuove abitazioni dei mesi precedenti. A Gerusalemme est, dove Israele non ha mai nemmeno fatto finta di avere una moratoria, i coloni israeliani appoggiati dal governo continuano a sfrattare palestinesi di numerosi quartieri.
Mentre le azioni violente di Israele nella parte occupata di Gerusalemme Est hanno ottenuto un po' di attenzione, la silenziosa pulizia etnica della Valle del Giordano non ha attirato quasi nessun interesse. Israele ha ridotto la popolazione indigena della Valle del Giordano da 200.000 Palestinesi ad appena 60.000, demolendo i loro villaggi e dichiarando vaste aree di questa regione vitale off-limits per i Palestinesi.
Il progetto degli insediamenti di Israele ha un unico obiettivo: rendere impossibili il ritiro israeliano dalla Cisgiordania e con essa una soluzione a due stati. Tutto questo senza alcuna prospettiva di tracciare una linea tra le popolazioni israeliana e palestinese, è il momento di riconoscere che Israele ha avuto successo e ciò che abbiamo oggi è una realtà di apartheid in tutta Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.
L'importante demografo Sergio Della Pergola della Hebrew University ha recentemente affermato al Jerusalem Post che gli ebrei già costituiscono poco meno del 50% della popolazione di Israele, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza insieme. In effetti, una minoranza ebraica governa sulla maggioranza della popolazione che include 1,4 milioni di Palestinesi, cittadini (di seconda classe) di Israele, 2,5 milioni di Palestinesi sotto occupazione in Cisgiordania e altri 1,5 milioni sotto assedio nella prigione a cielo aperto conosciuta come la Striscia di Gaza. Tutte le proiezioni credibili dimostrano che i palestinesi saranno la maggioranza schiacciante nel giro di pochi anni.
Questa ingiustizia è intollerabile. Con le politiche di Israele e il rifiuto degli Stati Uniti di esercitare una reale pressione, non ci sarà fine a tutto questo, con l'unica prospettiva di aumento catastrofico degli spargimenti di sangue.
In assenza di qualsiasi azione reale da parte degli Stati Uniti o di altri governi per inchiodare Israele alle sue responsabilità, si deve muovere la società civile. Negli anni '50 i neri Sudafricani assistevano alla passività del resto del mondo contro l'apartheid e si sono appellati alla società civile globale per imporre un boicottaggio, un disinvestimento dal Sudafrica e far passare delle sanzioni. Negli anni '70 e '80, tali campagne erano comuni nelle chiese degli Stati Uniti, nei campus e nelle comunità, e i politici che erano stati riluttanti a sostenere le sanzioni al Sud Africa alla fine le appoggiarono.
Oggi assistiamo a un simile movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni, sostenuto in modo schiacciante dalla società civile palestinese e in crescita in tutto il mondo. Questo movimento ha anche ottenuto il sostegno di alcuni israeliani. I suoi obiettivi sono di fare ciò che il governo USA dovrebbe fare, ma non fa: pressione su Israele per porre fine alla discriminazione contro i Palestinesi in Israele, porre fine all'occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, e far rispettare i diritti dei rifugiati Palestinesi, a cui Israele rifiuta di concedere il ritorno a casa solo perché non sono ebrei.
Questo movimento non è un fine in sé, ma è un veicolo per farci strada per una pace giusta, costruita sulla parità tra Israeliani e Palestinesi. Le politiche di Israele, caratterizzate dai diversivi in malafede di Ayalon, non ci hanno lasciato altra scelta.
Ali Abunimah è l'autore di "One Country: A Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse," e co-fondatore di Electronic Intifada.
Fonte: Los Angeles Times