Eventi sportivi che celebrano la cultura fisica e la competizione hanno a lungo avuto sostegno per motivi politici e sociali. Dalle antiche Olimpiadi greche e dalle lotte dei gladiatori a Roma fino agli elitari campi da polo e agli incontri clandestini di boxe della Gran Bretagna vittoriana.
Tutti i settori sono serviti a mantenere una certa immagine di quella società e dei suoi valori fondamentali. Con la comparsa di eventi sportivi internazionali negli ultimi 150 anni, c’è stata una nuova serie di principi collegati alle motivazioni politiche sottostanti, riguardante la parità etnica, religiosa e politica in una società civile globale emergente. Al fine di far parte di questa società civile, lo Stato nazionale deve rispettare le regole del fair play e della tolleranza.
Quest'anno Israele ospiterà il Campionato Europeo Under 21. La decisione della UEFA di assegnarlo ad Israele arriva quattro anni dopo che lo Stato ebraico ha tentato, bombardando la striscia di Gaza, di farla tornare all'età della pietra.
Nonostante che questo attacco sia stato considerato un crimine di guerra, Israele ha ignorato la condanna internazionale e da allora ha cercato di nuovo di radere al suolo Gaza, tra gli entusiastici applausi dei attivisti politici israeliani "mainstream".
Nel frattempo l’attività degli insediamenti illegali in Cisgiordania si sviluppano in modo preoccupante e gli arabi che vivono in Israele subiscono l’ondata crescente di razzismo e discriminazione.
Ma cosa succede se uno stato come Israele tenta di utilizzare questi spettacoli internazionali come il Campionato Europeo per offrire un’immagine ripulita di se stesso, imbiancando la sua politica basata su razzismo e belligeranza? Il boicottaggio sportivo internazionale del Sud Africa fornisce al lettore un interessante spaccato delle tattiche e dei metodi che possono essere utilizzati.
La legislazione sulla segregazione razziale in Sud Africa, nota come Apartheid (1948 - 1992), che si reggeva su una serie di principi che potrebbero essere aggregati sotto il termine afrikaner "Baaskaap" "Baaskaap" , o "Bossship" in inglese, rispecchiava l'atteggiamento generale del governo di minoranza bianca verso le comunità Nere, "Meticce " e "Indiane" che risiedevano in Sud Africa: che i bianchi erano al di sopra di loro, e che dovevano essere tenuti separati, al fine di mantenere la purezza del loro sviluppo razziale .
Le razze erano segregate e i neri erano in fondo alla scala sociale; al di sopra di loro c’ erano i "meticci", poi gli "Indiani", e quindi i bianchi.
La vita per i neri nelle township e nei "bantustan" (terre tribali, create stranamente dal governo bianco di Pretoria) era terribile .
Erano di solito oggetto di brutalità da parte dell’esercito sudafricano, ingaggiati come servi a contratto nel settore alberghiero in aree bianche o nelle pericolose miniere di diamanti nel Kimberly, o nelle massacranti aziende agricole di proprietà afrikaner.
Il “Baaskaap" sarebbe stato fondamentale per il nazionalismo afrikaner, e avrebbe trovato il suo posto in uno dei più sacri pilastri della cultura afrikaner: il rugby.
Il rugby ha svolto un ruolo centrale all'interno della percezione di sé dell’ afrikaner che a sua volta avrebbe incrementato la mentalità dell’Apartheid.
Bouilion e Archer nel loro libro “ Il Gioco sudafricano : Sport e razzismo” notano che il rugby è uno sport "ideale per farne un uso ideologico e gli afrikaner, che si consideravano appartenenti all’élite civilizzatrice, un popolo di pionieri conquistatori dei barbari, riconoscevano l'immagine della propria ideologia nei suoi simboli ".
Dopo gli anni Cinquanta, quando le nazioni africane l’una dopo l’altra hanno cominciato a rompere le catene del colonialismo e a ribellarsi alle minoranze dei coloni, questa mentalità avrebbe dato linfa alla nevrosi di tutta la classe dirigente bianca del Sud Africa
Il boicottaggio sportivo mondiale del Sud Africa ha avuto un ruolo fondamentale nell’ostracismo del governo dell'apartheid trasformandolo in uno stato paria
Nel 1960, l'immagine internazionale del Sudafrica ha cominciato a precipitare. In quell'anno il massacro di 69 manifestanti a Sharpsville è stato trasmesso in tutto il mondo, con la condanna internazionale.
L'autostima della minoranza bianca veniva scossa man mano che il Sudafrica, diventata una repubblica, si trovava in un crescente isolamento.
I Giochi Internazionali di rugby servirono come occasione per dare un’immagine “ pulita “ e “gradevole” del progetto di Apartheid
Quattro anni dopo il brutale massacro , Danie Craven dichiarò nel 75 °anniversario della South African Rugby Board:
"Sud Africa, questa è la tua celebrazione, la tua festa, perché questo gioco ti appartiene [...] Hai visto giorni luminosi e bui, sorrisi e lacrime, hai sperimentato difficoltà e allegria, sicurezza e insicurezza, che ti hanno resa più forte e più nobile. Ma ti hanno coeso come nient'altro nella nostra storia,. ed è stato questo gioco che ti ha fornito quel senso di appartenenza, di unità che pochi altri sentono. Ti ha portato dal tuo mondo in un mondo più grande [...] ti ha dato degli amici ".
Il Sud Africa era libero di "fare amicizia" attraverso la più limpida delle strade, lo sport. Le urla provenienti dalle townships sarebbero state attutite dagli applausi scroscianti che i famigerati Springboks avrebbero ricevuto neleloro incontri in tutto il mondo.
L'ex segretario del Movimento britannico anti-apartheid, Abdul Mindy, ha commentato nel documentario “Fair Play” di Connie Field: “Abbiamo capito, come sudafricani, l’importanza dello sport per i sudafricani bianchi. Era come una religione e quindi, se li colpivi duramente su questo, allora potevi davvero trasmettere il messaggio”.
Questo è stato il presupposto generale per il boicottaggio sportivo internazionale del Sud Africa, lanciato dai quadri in esilio dell’ African National Congress in alleanza con gli attivisti internazionali e con personalità dello sport.
Nel 1971, a causa della sua intransigenza di fronte alle critiche della comunità internazionale e all'incapacità dei governi occidentali di fare qualsiasi cosa, il Sudafrica era stato bandito dai campionati internazionali di: Tennis da tavolo, Boxe, Pesistica, Judo, Tennis, Calcio, Ciclismo, Nuoto.
Anche il rugby era sotto attacco. Nel 1969 la squadra sudafricana, i cosiddetti Springboks, in tour nel Regno Unito e in Irlanda subì proteste di massa e interruzioni di partite perdendo gare che normalmente sarebbero state vittorie facili per i giganti del rugby. Nel 1971 l'Australia fu costretta a un brusco stop, dal momento che i sindacalisti organizzarono azioni di protesta nei confronti di un tour degli Springboks, contribuendo a rinvigorire il movimento anti-razzista in Australia e dando il via a ulteriori inchieste sul trattamento delle comunità aborigene locali.
La resa dei conti avvenne con gli All Blacks nel 1981, quando queste due potenze del rugby si trovarono testa a testa. Nonostante la forte pressione della collettività perché il tour fosse annullato, il primo ministro Muldoon dichiarò che non ci sarebbe stata "nessuna politica nello sport" e che il tour sarebbe andato avanti. In seguito alla sua intransigente dichiarazione, in Nuova Zelanda si arrivò quasi alla guerra civile.
Ad Hamilton, la partita fu annullata a causa della eroica invasione di campo degli attivisti della HAART: NZAAM, l'ala neozelandese del movimento anti-apartheid internazionale. La polizia usò per la prima volta i manganelli sui manifestanti, e le precedenti previsioni , che il tour avrebbe scatenato " la più grande eruzione di violenza che questo paese abbia mai conosciuto ", sembrarono avverarsi con una spaventosa precisione profetica.
Nonostante la violenza un messaggio era stato inviato ai bianchi fanatici del rugby in Sud Africa. Essi non erano bene accetti all'estero nel cimentarsi nel loro più sacro passatempo, fin quando praticavano il razzismo e la segregazione forzata. Per tutta la durata degli anni ottanta, il regime di Apartheid precipitò in un crescente isolamento e rifiuto.
I sudafricani non giocarono più a rugby all'estero finché non nacque nel 1992 la “nazione arcobaleno” ( il Sudafrica del post apartheid) , con il Rugby che servì come un fattore di coesione tra tutti i sudafricani.
E' stato detto che "la storia non si ripete, ma fa rima" e questo sembra davvero essere il caso guardando a Israele.
L’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu ha descritto l'occupazione israeliana della terra palestinese come molto simile al regime dell'apartheid contro il quale ha instancabilmente combattuto .
Secondo il giornalista e autore Ben White, quando Israele fu creato nel 1948, due terzi della popolazione araba furono esiliati a causa di una politica sistematica di espulsione da parte dell'esercito israeliano.
Nel 1970, tre anni dopo che Israele aveva invaso la Cisgiordania e Gaza, circa la metà di tutti i palestinesi vivevano al di fuori della Palestina come diseredati, profughi senza patria, a cui era impedito di tornare a casa. Uno su sette palestinesi viveva come cittadino di seconda classe in uno stato che si definiva come la patria ebraica. Uno su tre palestinesi viveva sotto regime militare, sempre più soggetto ad un regime di apartheid progettato per facilitare la colonizzazione dei territori occupati palestinesi da parte dei coloni israeliani.
I Palestinesi che vivono in Israele hanno diritto di votare per la Knesset israeliana, ma certe realtà strutturali rendono inutile questa forma di democrazia ; secondo un rapporto della ONG israeliana Sikkuy la diseguaglianza tra arabi ed ebrei per quanto riguarda le abitazioni è aumentata nel 2009 di circa il 7,4 per cento a scapito della popolazione araba.
Inoltre, uno studio del sito web dello stesso governo israeliano afferma che "le scuole arabe - più di ogni altro settore educativo - soffrono di una grave carenza di aule e molte aule sono al di sotto dello standard”. Questa disuguaglianza non è una novità.
Adalah (Centro per i diritti della minoranza araba) ha trovato nel 2011 che le diseguaglianze tra i cittadini palestinesi ed ebrei di Israele abbracciano tutti i campi della vita pubblica e persistono nel tempo. La discriminazione diretta e indiretta nei confronti dei cittadini palestinesi di Israele è radicata nel sistema giuridico e nella pratica di governo. La sinistra israeliana e la società civile palestinese hanno spesso cercato di fare fronte alla politica etnocentrica e belligerante di Israele. Nondimeno nel 2011 alla Knesset sono passati due progetti di legge, che tagliano enormi quantità di fondi esteri alle ONG progressiste che si battono contro lo stato israeliano per i diritti civili dei palestinesi in Israele.
Dal 1970 la politica di apartheid di Israele è diventata sempre più aggressiva nei confronti della popolazione palestinese di Gaza e della Cisgiordania. La striscia di Gaza è sotto un totale assedio israeliano, il diritto di pesca dei pescatori palestinesi è limitato a punti strettamente vicini alla costa, i terreni agricoli sono stati decimati e minima è la disponibilità di acqua, pesantemente contaminata : il 26% di tutte le infezioni a Gaza sono legate all'acqua e la Striscia è attualmente nel pieno di una crisi umanitaria.
Gaza è spesso oggetto di raid aerei da parte di Israele, e di continue incursioni alle frontiere. Nel 2006 è stata costruita una barriera di separazione intorno alla Cisgiordania con il pretesto di impedire infiltrazioni di kamikaze in Israele. Tuttavia si insinua nel territorio palestinese, annettendo terreni, spesso aziende agricole e sorgenti d’acqua. Il muro ha tagliato fuori i palestinesi da Gerusalemme, rendendo la soluzione dei due stati di fatto impossibile.
I Palestinesi di Gerusalemme Est non ricevono servizi da parte dello Stato di Israele nè dall'autorità palestinese locale, e così l’erogazione dell'acqua corrente e gli impianti di fognature funzionano in modo precario; essi sono anche soggetti a continui sfratti dalle proprie case, a demolizioni e ad aggressioni dei coloni.
Insediamenti e avamposti sono aumentati drammaticamente sin dall’inizio dello sfortunato processo di pace del 1993 e sono spesso situati intorno alle preziose fonti idriche e alle strade di accesso, inibendo la libertà di movimento e causando crisi idriche in molti governatorati della Cisgiordania.
Alla data del luglio del 2012, secondo il ministero degli interni israeliano, 350.150 coloni ebrei vivevano in 121 insediamenti ufficialmente riconosciuti in Cisgiordania , 300.000 israeliani abitavano in insediamenti a Gerusalemme est.
Mentre i palestinesi di Ramallah e di Betlemme non sentono la morsa dell'occupazione allo stesso modo dei gerosolimitani , ci sono piani per costruire un nuovo insediamento vicino all'antico villaggio cristiano di Beit Sahour nel Governatorato di Betlemme e diversi progetti per la costruzione di insediamenti attorno a Ramallah. Questo programma ha l’obiettivo di collegare gli enormi blocchi di insediamenti di Ariel nel nord al blocco di Gerusalemme Est in mezzo e a quello di Gush Etzyion attorno a Betlemme, al fine di strangolare qualsiasi prospettiva di uno Stato palestinese
Ai Palestinesi della Cisgiordania è vietato andare a Gerusalemme e nella Striscia di Gaza, mentre gli abitanti di Gaza non possono visitare Gerusalemme e la Cisgiordania. Questa modalità di sviluppo separato ha creato una frammentazione della nazione palestinese che equivale all’ apartheid.
Israele userà questo torneo per presentare un'immagine ripulita di se stesso al mondo e unirsi ai ranghi della società civile europea. Tuttavia agli arabi è regolarmente impedito di entrare nelle formazioni di calcio israeliane e gli arabi israeliani vengono spesso offesi quando giocano in campionato. Come per il Sudafrica, lo sport in Israele è arrivato ad essere un simbolo di unità nazionale e un modo per dare credibilità e rispetto ad un programma statale basato su una distribuzione gerarchica dei diritti al fine di dividere e controllare i palestinesi.
Yair Gailley della Israel Football Association ritiene che “il calcio offre uno spazio dove le persone possono condividere una passione che trascende le loro differenze. Si tratta di un luogo in cui si può incontrare “l’altro” e rendersi conto di quanto si ha in comune”
Tuttavia il suo presidente Shimon Peres ha recentemente negato l’esistenza storica dei palestinesi.
“Football Beyond Borders” e “Cartellino Rosso contro il razzismo in Israele “ chiedono all'UEFA di conformarsi al codice di condotta che disciplina questo bel gioco sul campo e di bandire Israele da tutti gli eventi sportivi legati alla sua autorità.
Invitiamo inoltre tutti i sostenitori della giustizia e gli oppositori del razzismo a marciare con noi il 24 maggio davanti al Grosvenor House Hotel, in Park Lane, dove avrà luogo la riunione degli alti funzionari della UEFA per dimostrare che il razzismo e l'apartheid non hanno posto nel calcio e che alla nazionale di calcio rappresentante dello Stato di Israele deve essere inviato un messaggio chiaro.
Football Beyond Borders è una iniziativa guidata da studenti istituita nel 2009, che si propone di abbattere i confini sociali e combattere l'ingiustizia e la disuguaglianza attraverso programmi didattici basati sul gioco del calcio , visite guidate e tornei.
Fonte: Middle East Monitor
Traduzione di BDS Italia