La giocatrice di calcio palestinese Aya Khattab chiede a Puma di riconsiderare il contratto che ha firmato con l'Israel Football Association [Per gentile concessione del BDS] [Daylife]
Aziende come Puma, che continua a sostenere le associazioni sportive israeliane, ignorano intenzionalmente l’oppressione degli atleti palestinesi.
Da quando, ragazzina, ho iniziato a giocare a calcio, sognavo di arrivare a giocare nella nazionale palestinese femminile. E così ho fatto! Ho scalato diverse categorie, a partire dall’under 16, ed ora gioco come difensore nella nazionale.
Realizzare il mio sogno però non ha significato solo duro lavoro ma anche confrontarmi con un altro lato del sistema israeliano di oppressive regole militari e di costanti discriminazioni.
Essere un’atleta in Palestina non è facile. Qui, non è possibile affermare che lo sport sta sopra e al di fuori della politica e del conflitto. Qui, noi siamo circondati da posti di blocco, muri, strade riservate ai coloni e insediamenti. Le infrastrutture israeliane di occupazione e di apartheid negano ai palestinesi, incluso gli atleti, ogni libertà di movimento. Veniamo maltrattati, ricattati e umiliati dall’esercito israeliano di continuo. Non possiamo quindi permetterci il lusso di dimenticare l'occupazione quando scendiamo in campo.
Quando andiamo ad allenamenti o eventi in trasferta, siamo costantemente oggetto di umilianti perquisizioni ai checkpoint da parte delle forze armate israeliane. Le nostre partite vengono interrotte ed assaltate dai soldati israeliani. I nostri campi vengono inghiottiti dall'espansione continua degli insediamenti illegali e i nostri stadi distrutti dalle bombe israeliane.
Intraprendere una carriera da atleta in Palestina è infatti uno strazio senza fine, dal momento che Israele pone davanti a noi barriere ad ogni passo. Questo è il motivo per cui noi ci aspettiamo dal resto del mondo, e soprattutto dalle istituzioni e delle società sportive, di essere consapevoli del nostro dolore e di sostenerci. Questo è il motivo per cui rifiutiamo ogni tentativo da parte di marche sportive e aziende di coprire l’occupazione israeliana.
Lo scorso anno Puma, una tra le maggiori manifatture di abbigliamento sportivo nel mondo, ha firmato un contratto di sponsorizzazione della durata di quattro anni con l’Associazione israeliana di calcio (IFA). All’interno dell'IFA si contano numerose squadre israeliane che provengono dagli insediamenti israeliani illegali costruiti sui territori sottratti alle famiglie palestinesi, in violazione del diritto internazionale.
La complicità dell'IFA nello sviluppo degli insediamenti israeliani è stata ripetutamente condannata da consulenti delle Nazioni Unite, da dozzine di esponenti pubblici e da gruppi della società civile e per i diritti umani.
La sponsorizzazione dell'IFA da parte di Puma, e la conseguente legittimazione internazionale che questa sponsorizzazione garantisce, consente al regime israeliano di continuare ad espandere i suoi insediamenti illegali in un clima di totale impunità, a danno delle famiglia palestinesi che da generazioni abitano quelle terre.
Puma ha dichiarato che “lo sport ha la capacità di trasformarci e renderci più forti”. E’ vero. Lo sport ha cambiato la mia vita e le vite di molti altri palestinesi i quali hanno con perseveranza inseguito i propri sogni, nonostante tutte le sfide e le restrizioni che un’occupazione crea.
Ma invece di sostenere gente come noi, che fatica ogni giorno a causa dell’oppressione, Puma ha scelto di stare dalla parte dei nostri oppressori.
Più di 200 squadre palestinesi hanno chiesto alla società Puma di conformarsi al suo codice etico, interrompendo il contratto di sponsorizzazione in essere con l'IFA.
E qual è stata la risposta di Puma alle ripetute richieste di riconsiderare il contratto? Un ridicolo tentativo di deviare le critiche richiamandosi alla “devozione verso l’uguaglianza universale” mentre continua a coprire le violazioni dei diritti umani di Israele nei confronti dei palestinesi e aiuta Israele a mascherare con lo sport il suo sistema di oppressione.
Nel frattempo, quest’anno, la Palestine Cup è stata cancellata a causa delle restrizioni israeliane che non permettono ai palestinesi di spostarsi liberamente. Israele inizialmente aveva negato il permesso di andare in Cisgiordania occupata a tutti i giocatori tranne uno, proveniente dalla squadra vincitrice della Gaza League. A una nuova richiesta della squadra, Israele negò il permesso di trasferta a tutti tranne che a cinque giocatori.
Nel 2018 i cecchini israeliani hanno ucciso 183 palestinesi e ferito più di 6.000 palestinesi che stavano pacificamente manifestando per la fine del paralizzante assedio israeliano che dura da 12 anni, rivendicando il loro dritto al ritorno che è riconosciuto dalle Nazioni Unite. I cecchini israeliani hanno spazzato via le vite di promettenti atleti palestinesi, inclusi un giocatore di calcio, un ciclista, un pugile e un pallavolista.
Una commissione di inchiesta delle Nazioni Unite ha accertato che dei soldati israeliani hanno intenzionalmente colpito e ucciso dei civili palestinesi che partecipavano alle manifestazioni, questo potrebbe rivestire i requisiti per essere definito crimine di guerra.
Ciononostante Puma non modifica la sua posizione. Questo è il motivo per cui i sostenitori del movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento e Sanzioni) nel mondo hanno intrapreso nuove azioni contro l'azienda. In migliaia hanno deciso di impegnarsi a non comprare più i prodotti di Puma finché continuerà ad essere lo sponsor dell'IFA.
Lo scorso giugno, gruppi di attivisti per i diritti umani hanno protestato in più di 20 paesi contro la sponsorizzazione dell'IFA davanti ai negozi della Puma, nei suoi uffici e durante le partite delle squadre che sponsorizza. Oggi torneranno in campo per una seconda giornata di azione, con più di cinquanta eventi previsti in tutto il mondo.
Spetta a noi denunciare la complicità di Puma nel mancato sostegno ai principi dello sport e al gioco leale.
Da giovane donna palestinese determinata che ha fatto dello spingersi oltre i limiti e del superare gli ostacoli una parte centrale della propria vita, non permetterò che il sistema di oppressione israeliano mi impedisca di vivere il mio sogno.
E tutti coloro che, come me, credono nella libertà e nella giustizia possono esigere con me che Puma interrompa la sponsorizzazione della nostra oppressione, tenendo fede alle proprie promesse di promuovere il cambiamento sociale.
Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all'autrice et non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.
Aya Khattab - Al Jazeera
Traduzione di BDS Italia