Platini ha applaudito agli Under 21 di calcio in Israele. Lo sport palestinese intanto fa i conti con le pesanti restrizioni imposte dall'occupazione militare
di Penelope Ferrazzani
Era l'ultimo giorno dell'anno: faceva molto freddo e cominciava a nevicare. Una povera bambina camminava per la strada con la testa e i piedi nudi. La bimba aveva molta fame e molto freddo, nel vecchio grembiule ancora un gran numero di fiammiferi, che non era riuscita a vendere a nessuno perché le strade erano deserte. Le finestre erano tutte illuminate e si sentiva odore di oca arrosto. Era la vigilia del nuovo anno. Una gran festa.
Così ci si sente a leggere sul portale dell'ebraismo italiano, alla data del 19 giugno, i commenti di Platini alle ultime finali Uefa under 21 giocate lo scorso giugno in Israele, se si è stati vicini alle ragioni degli ultimi e dei loro diritti. Esclusi dalla gran festa, celebrata dal presidente UEFA con lodi per lo stato ospitante, Israele, che -scrive l'articolo- "ha saputo incantare con le sue atmosfere"! Di atmosfere era maestra la maga Circe, Ulisse ne portò qualche testimonianza. Vediamo i motivi seri di tanto entusiasmo: nell'arco di 13 giorni, oltre 175mila persone avrebbero assistito ai 15 match, e all'ultima partita, quella giocata tra Italia e Spagna, vinta da quest'ultima, gli spettatori sarebbero stati 30mila. Una questione di numeri. Una questione d'incassi, una questione di mercato. Quella che con drammaticità si è imposta sulle scene brasiliane, quando, dopo un avvio il 13 giugno con una manifestazione di 15mila persone a San Paolo contro l'aumento dei trasporti pubblici collegato con i preparativi dispendiosi dei miliardari campionati del mondo in calendario, ha coinvolto 400 città in manifestazioni contro le enormi spese previste per i mondiali.
Ma la festa resta quella dietro alle vetrine illuminate e Platini celebrerebbe numeri israeliani e li butterebbe come una tempesta di neve sui piccoli fiammiferai che sostengono lo sport contro ogni razzismo e non solo contro quello selezionato dal "politicamente corretto" di coloro che stanno festeggiando l'arrivo del nuovo anno al calduccio dei loro camini e sulle loro tavole imbandite.
"Non riesco ad immaginare come il torneo sarebbe potuto andare meglio". Evidentemente al presidente dell'organizzazione europea che sta lanciando fulmini sulle manifestazioni di razzismo contro calciatori non interessa se la sua festa ha deliberatamente lasciato fuori un'intera popolazione: quella originaria dei luoghi in cui stava "festeggiando". Che qualche calciatore incluso nella squadra israeliana fosse israeliano palestinese, non significa che i Palestinesi cittadini israeliani non siano discriminati anche per legge (più di una trentina), che a quelli della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e di Gaza non siano negati diritti elementari, come quello alla mobilità e che proprio grazie a queste violazioni sistematiche ad essi sia impedita anche una reale pratica sportiva, come ha mostrato a tutti la vicenda esemplare del calciatore Mahmoud Sarsak. Di Gaza, calciatore promettente, proprio per le restrizioni imposte allo sport dopo i bombardamenti di Gaza, fu chiamato a giocare in una squadra di Nablus. Fornito della documentazione necessaria ad attraversare il valico di Erez, vi fu invece fermato e sequestrato, deportato in un carcere israeliano, ne uscì, dopo tre anni senza processo né accusa formale, solo per la sua grande forza di volontà, che lo aveva indotto a portare avanti uno sciopero della fame di oltre tre mesi. Uno sciopero della fame che riuscì a sollecitare l'attenzione del mondo internazionale dello sport, che effettivamente si mobilitò, ottenendone la scarcerazione.
Lo sport, come le altre manifestazioni culturali palestinesi, è represso e limitato da Israele. Platini considera razzismo solo i coretti ottusi di razzisti da strapazzo? Che nome dà al fatto che in quei 30mila spettatori che lo inorgogliscono i Palestinesi saranno state mosche bianche? Disinteresse per il calcio? No: ai Palestinesi il calcio piace moltissimo e sin da piccoli lo praticano come possono, nei dintorni delle proprie case, in campetti improvvisati. tanti bambini palestinesi, già dalla Prima Intifada, sono stati feriti o uccisi dalle forze di occupazione mentre tiravano calci ad un pallone per vera passione. L'ultimo è stato il tredicenne Hamed Younis Khader Abu Daqqa, ucciso dall'esercito israeliano mentre giocava a pallone vicino a casa, indossando la maglia numero 23 del Real Madrid, l'8 novembre 2012. L'impedimento della pratica sportiva è ottenuto anche tramite la distruzione delle strutture sportive, i bombardamenti del novembre 2012 hanno distrutto il Paraolimpico ed altre strutture sportive a Gaza. Anche gli atleti, come gli altri Palestinesi, sono soggetti ad improvvisi "arresti" e detenzioni a volte interminabili, rimangono tuttora in carcere il calciatore Mohammed Sadi Nemer ed il portiere Omar Khaled Abu Omar Rowis. Come gli altri subiscono le condizioni di detenzione, il calciatore Zakaria Issa fu colto dalla morte di cancro in prigione, epilogo scontato dell'impedimento dell'accesso ad ogni cura. Come gli altri sono vittime di attacchi bellici, durante quelli contro Gaza furono uccisi i calciatori Ayman Alkurd, Shadi Sbakhe e Wajeh Moshate, oltre che più di 1400 altri Gazawi.
Questo, più o meno, è quanto hanno detto i 69 tra club, manager e figure dello sport palestinese che lanciarono l'appello a Platini per lo spostamento della UEFA under 21 da Israele. Questo hanno sottoscritto personalità internazionali dello sport, della cultura e della politica: da Kanoute a Drogba e Hazard e Menez, da Ken Loach ad Alice Walker, dall'ex ministro dello sport francese Marie-George Buffe all'Arcivescovo sudafricano Desmond Tutu. Questo hanno sostenuto gli oltre 15000 firmatari della lettera a Platini, gli sportivi e gli attivisti che si sono mobilitati da Bilbao a Le Havre, a Montpellier, a Tolosa, a Lyon, a Londra, a Roma, a Napoli, a Milano, ed in tante altre città, questo hanno continuato a sostenere anche calciatori che hanno resistito alle pesanti pressioni a cui sono stati sottoposti per la dichiarazione che avevano pubblicata. Questo è ciò che, in somma, ha divulgato la campagna Cartellino Rosso all'Apartheid Israeliana, appoggiata in Italia da numerose realtà di calcio polare e di sport di base, come il Mediterraneo Antirazzista o lo SCuP o dai COBAS scuola di Napoli, e che è parte di quella più generale di Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni contro Israele nell'ambito della quale è nata e di cui condivide gli obiettivi: la fine dell'occupazione e della colonizzazione delle terre arabe, del regime di discriminazione nei confronti dei cittadini israeliani palestinesi, per il riconoscimento del diritto al ritorno.
La crescente espansione della campagna, nata nel 2011, le numerose adesioni in costante aumento, le mobilitazioni svoltesi in tutta Europa ed anche in alcuni stadi italiani, le dimostrazioni anche durante le partite di basket e rugby, negli Stati Uniti e in Egitto. Le finestre della festa sono rimaste sfrontatamente chiuse nel loro luccicore abbagliante. E non hanno dato segni d'intendimento i calciatori italiani, nonostante le tante iniziative svoltesi l'8 giugno, quando la squadra italiana ha giocato contro quella israeliana. Né la breve irruzione al pranzo UEFA nell'hotel londinese il 24 maggio ha rotto il silenzio abissale disteso tra i due mondi.
Sono in tantissimi lì fuori sotto la neve con la piccola fiammiferaia. La festa di Platini, invece, è là dietro alle grandi finestre illuminate al calduccio. Isolata. Sola.
E' sicuro che sia questa una posizione comoda a lungo?
A nulla vale ripetere "E anche i tentativi di boicottaggio o protesta non sono riusciti a scalfire la grande festa". Un sottile disagio sordo giunge attraverso i vetri.
Ebbene, nonostante le mobilitazioni, lo scorso giugno la Uefa under 21 si è tenuta in Israele, secondo il programma. L'under 21 italiana ha giocato in prossimità delle macerie della Nakba del '48 (nel Bloomfield e Teddy Stadium, il primo si chiamava Basa e ne fu espulsa nel '48 la squadra palestinese del Shabab el-Arab, il secondo sede della razzista tifoseria del Beitar Jerusalem ed edificato in prossimità del villaggio palestinese di al-Maliha, che contava 5.798 abitanti e quasi completamente distrutto) senza tributarvi un ricordo.
Come per tutti gli altri aspetti della cultura e della storia palestinese, anche il calcio ha la sua amnesia senza redenzione: le partite giocate in Israele, come "festa dello sport", sono cadute nei giorni della Naksa. La "ricaduta" palestinese, quella della "guerra dei sei giorni". L'attacco israeliano che si concluse con quella che è tuttoggi la dolorosissima drammatica realtà alla base dell' illegale condizione di vita e di sopravvivenza dei Palestinesi: l'occupazione di tutta la Palestina, incluse le colline del Golan, Gaza, Gerusalemme Est e tutta la Cisgiordania.
Tuttavia, la campagna ha raggiunto alcuni significativi risultati. Ha diffuso maggiore conoscenza della realtà di occupazione e colonizzazione in Palestina tra soggetti in precedenza non toccati, ha ottenuto ampi spazi sui media, creato legami con realtà nel mondo dello sport e gettato le basi per altre campagne di boicottaggio sportivo.
Tutto fa ritenere che la campagna continui, nonostante alcuni maldestri e reiterati tentativi di utilizzare il calcio per "normalizzare" l'occupazione e l'apartheid. E' il caso di quelli dei dirigenti del Barcellona, che hanno dovuto assistere alla dura risposta della popolazione di Bil'in ai loro irrispettosi tentativi di minimizzare il conflitto attraverso un'improbabile "partita della pace". La festa della UEFA Champions League, della UEFA Europa League, della FIFA World Cup. La festa negli ambienti ricchi e riscaldati dello sport mondiale va avanti, la piccola fiammiferaia continua ad osservarla fuori ai vetri illuminati, occhi sgranati nel suo gelo affamato. Le migliaia di piccole fiammiferaie, i milioni di piccole fiammiferaie.
Il nuovo appello viene da Jibril al-Rujub, il presidente della Federazione palestinese del calcio (PFA), che ha chiesto alla FIFA di bandire Israele dalle competizioni internazionali come la Coppa del Mondo. In risposta alle restrizioni di movimento dei calciatori anche nell'area controllata dall'Autorità Palestinese. All'origine della richiesta di Jibril al-Rujub, la più recente vicenda di eclatante impedimento alla partecipazione alla vita sportiva internazionale: il divieto all'ingresso nei TPO dei rappresentati della Federazione dell'Asia dell'Ovest (WAFF) per assistere ai campionati regionali degli Under 17.
La FIFA girerà lo sguardo da un'altra parte per non vedere il muro condannato nel 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia e che ha comportato la sottrazione illegale di terreni di proprietà palestinese e la separazione tra villaggi e città palestinesi e costretto la popolazione autoctona in aree anguste, violandone il diritto alla mobilità, come ha fatto la UEFA? Anche la FIFA vuole piegarsi all'idea dello sport come privilegio? Oppure intende lo sport come strumento per abbattere frontiere e costruire diritti?
Come si comporterà ora Blatter?
Anche lui ha più volte fatto promesse ai Palestinesi, ad esempio il 10 luglio ha dichiarato l'intenzione di predisporre una task force sulle limitazioni del movimento dei calciatori palestinesi da parte d'Israele.
Aprirà Blatter quella finestra scintillante per accogliere la piccola fiammiferaia?
Fonte: Nena News