La squadra della capitale israeliana è caratterizzata da un particolare: nella sua storia non aveva mai avuto giocatori non ebrei. Almeno fino all'acquisto del ceceno Kadiev, che ha provocato la reazione razzista degli ultras. Che, dopo la condanna per incitamento all'odio razziale, hanno incendiato la sede del club
di Luca Pisapia
Non c’è pace per il Beitar Gerusalemme, la squadra israeliana i cui tifosi negli anni sono stati protagonisti di manifestazioni razziste e di aggressioni violente nei confronti delle minoranze etniche e religiose. Domenica sera durante il match contro il Bnei Sakhnin, squadra israeliana a maggioranza araba, l’arresto preventivo di alcuni tifosi e la presenza di 400 poliziotti e 200 guardie di sicurezza private al Teddy Stadium hanno impedito che ci fossero incidenti tra le due tifoserie. Ma non ha potuto evitare che Gabriel Kadiev, nuovo acquisto ceceno di religione musulmana del Beitar, primo non ebreo nella storia del club, fosse oggetto di boati razzisti e insulti da parte dei propri tifosi da quando è entrato in campo. Tifoseria maledetta, quella del Beitar, che il mese scorso nel giorno della partita con il Bney Yeahuda, e per uno strano scherzo del destino alla vigilia dellaGiornata della Memoria, espose striscioni che inneggiavano alla purezza razziale della società.
Una nemesi storica che ebbe risonanza mondiale. Il motivo di tale risentimento era che la società aveva annunciato l’acquisto di Gabriel Kadiev e Zaur Sadaev: giocatori ceceni musulmani. Un cambio di direzione improvviso per la squadra di Mahla, quartiere sudoccidentale di Gerusalemme, che fin dalla sua fondazione ha sempre rivendicato con orgoglio di non avere mai avuto tra le sue fila né arabi né musulmani, e i cui tifosi lo cantavano ripetutamente durante le partite. Una situazione che ricalca quella del gruppo Landscrona a San Pietroburgo, autori di un manifesto sulla purezza razziale. A seguito di quello striscione, e di svariarti cori razzisti anti-arabi e anti-islamici, la polizia aveva arrestato quattro tifosi. E il giorno dopo Reuven Rivlin, parlamentare delLikud e tifoso del Beitar, aveva espresso il suo disagio per questo cortocircuito della memoria: “Proprio oggi che ricordiamo l’Olocausto, immaginate cosa sarebbe successo se i tifosi di una squadra tedesca o inglese avessero protestato contro l’acquisto di un giocatore ebreo”.
La società, presieduta da qualche anno da Arcadi Gaydamak – trafficante d’armi d’origine russa e presidente del partito di estrema destra Social Justice, nonché sodale del controverso presidente ceceno Kadyrov, accusato di tortura e violazione dei diritti umani – ha deciso di procedere lo stesso con l’acquisto dei due giocatori ceceni. E la situazione è degenerata. I due giocatori Kadiev e Sadaev a ogni allenamento sono stati accolti da insulti e sputi, tanto che sono tuttora costretti a girare per la città sotto scorta, protetti a vista 24 ore al giorno dalle possibili aggressioni dei loro stessi tifosi. I più pericolosi sono quelli de La Familia: famigerato gruppo ultras segregazionista di estrema destra, che predica la superiorità razziale degli ebrei sugli arabi, e lo rende esplicito con vigliacche azioni punitive. Come l’anno scorso, quando dopo una partita entrarono in un centro commerciale e, gridando “morte agli arabi”, picchiarono gli uomini e sputarono sulle donne.
Giovedì si è tenuto il processo per i tifosi del Beitar arrestati per l’esposizione dello striscione sulla purezza razziale, e sono stati condannati. La notte stessa è stata incendiata la sede del club, causando gravi danni e bruciando documenti, vecchie maglie, gagliardetti e memorabilia vari. Gli inquirenti non hanno dubbi, le indagini si sono orientate sugli stessi sostenitori del Beitar, in rotta di collisione con la società. Un atto di ritorsione, ha spiegato un portavoce della polizia, per cui ci sono già dei sospetti ben precisi, in direzione de La Familia. “Non siamo stati noi, ci limitiamo a cori e insulti che nel mondo del calcio sono accettabili – ha dichiarato domenica sera dopo la partita al canale tv Channel 10 Ronnie Resnick, portavoce del famigerato gruppo ultras – Però devono rispedire a casa i due ceceni, e deve andarsene anche il presidente Gaydamak, questo sì. Solo allora ci comporteremo diversamente”. Parole che suonano più come una minaccia che non un armistizio.
Fonte: Il Fatto Quotidiano