L'obiettivo dello sport israeliano, attraverso il potere di persuasione, è di concentrare la nostra attenzione su una squadra di ciclismo o su una visita di Lionel Messi piuttosto che sulla Palestina, afferma Jonathan Liew, giornalista sportivo del 2021 della Sports Journalism Association.

Nell'estate del 2020 un gruppo di cinque ciclisti di Ramallah stava facendo un giro quando sono stati fermati da alcuni coloni israeliani. Secondo Reuters, dopo aver scoperto che i ciclisti erano palestinesi, i coloni hanno iniziato a scagliare pietre contro di loro. Quattro sono fuggiti in un campo vicino. Uno, Samer Kurdi, ha perso l'equilibrio ed è stato ripetutamente picchiato con una sbarra di metallo, riportando gravi ferite. Non è noto se siano stati effettuati arresti.

Per Chris Froome e i suoi compagni della squadra ciclistica professionisti Israel Start-Up Nation, che lo scorso novembre hanno percorso durante una sessione di allenamento le colline della Giudea, le strade della Cisgiordania occupata sono state un luogo molto più sicuro. I giornalisti di lingua inglese sono stati portati in Israele e hanno avuto pieno accesso alla squadra durante la sua prima preparazione in Israele dal 2019. La squadra e il suo seguito sono stati trattati con un'ospitalità di lusso, con visite alle spiagge ed escursioni in kayak. D’altronde Israel Start-Up Nation, il team alle prime armi rilanciato la scorsa settimana come Israel-Premier Tech, ha sempre conosciuto il valore di buone pubbliche relazioni.

Peter Sagan è stato uno dei suoi primi ambasciatori e il reclutamento di altri campioni come Froome, Sep Vanmarcke e Dan Martin ha contribuito a far crescere la reputazione sportiva della squadra. Ma l'addetto stampa più entusiasta del team è il comproprietario, il miliardario Sylvan Adams, un sedicente "ambasciatore itinerante dello Stato di Israele" che vede nello sport un mezzo per rafforzare la posizione del paese circondato dalle critiche per i suoi precedenti in materia di diritti umani, trattamento dei palestinesi e continua violazione del diritto internazionale.

È stato Adams a guidare l'audace offerta di Israele di 9 milioni di sterline [circa 10.700.000 euro, NdT] per ospitare nel 2018 la partenza del Giro d'Italia, esordio di un investimento senza precedenti nello sport internazionale. Lo stesso anno ha costruito il primo velodromo olimpico della regione, che ad agosto ospiterà i mondiali di atletica leggera. Nel 2019 Argentina e Uruguay hanno visitato Tel Aviv per un'amichevole internazionale così come, lo scorso agosto, il Paris Saint-Germain e il Lille per l'equivalente francese del Community Shield [trofeo calcistico inglese che mette di fronte la squadra vincitrice della Premier League, il campionato nazionale, a quella della FA Cup, la coppa inglese, NdT]. All'interno della Fifa si parla anche di un'offerta congiunta per la Coppa del Mondo 2030 con Emirati Arabi Uniti e Bahrain.

Adams insiste sul fatto che Israel Premier-Tech è apolitico e non un progetto governativo, sebbene riceva finanziamenti - una "somma scandalosamente modesta", dice - dall'ente nazionale per il turismo. E mentre paesi come Bahrain, Emirati Arabi Uniti e Kazakistan sponsorizzano tutti i team del World Tour [calendario annuale internazionale delle gare ciclistiche, NdT], nessuno è stato così aperto o esplicito sui suoi obiettivi. "Qui in Israele siamo percepiti come una zona di guerra, in una condizione di conflitto", dice Adams. "Vogliamo che la squadra aiuti a raccontare la storia di cui di solito non si sente parlare". Ron Baron, l'altro comproprietario della squadra, descrive ciò come una forma di "diplomazia sportiva". Secondo Guy Niv, uno dei pochi ciclisti israeliani della squadra ed ex cecchino dell'esercito, ogni ciclista capisce che “trovandosi in una squadra israeliana, è un ambasciatore del Paese”.

Quando pensiamo allo sport-washing, il tentativo degli stati-nazione di sanificare la propria reputazione e riciclare i propri crimini con l’aiuto dello sport, ci riferiamo di solito ad un certo tipo di paesi. Non abbiamo problemi a collegare i molteplici abusi del Qatar o dell'Arabia Saudita o della Cina ai loro investimenti nello sport. Eppure sembra esserci una certa ritrosia nel riferirsi a Israele in termini simili, anche se i suoi obiettivi sono dichiarati in modo ancora più esplicito e i suoi crimini sono ben documentati dalle organizzazioni per i diritti umani.

 L'obiettivo principale della diplomazia sportiva israeliana è che nel sentire il nome del loro paese non si pensi a nulla di tutto questo. Non si pensi ai posti di blocco militari o ai bombardamenti di Gaza o all'occupazione della Palestina, o per niente affatto ai palestinesi. Si pensi invece alle spiagge dorate, ai cocktail in terrazza, a Lionel Messi e Chris Froome immersi in un tramonto glorioso. "Alla maggior parte della gente non importa la politica", dice Adams. "Attraverso eventi culturali e sportivi di livello mondiale siamo in grado di raggiungere la maggioranza silenziosa”.

Ma appena al di là dell'uscio si possono scoprire i segnali ricorrenti dello sport-washing: la negazione, il disprezzo, la curiosa miscela di incredulità e aggressività. "Questo è un paese pacifico, andate a scocciare chi lavora in regimi totalitari", ha detto Adams a Cycling Weekly nel 2020 in risposta alle domande sulle violazioni dei diritti umani da parte di Israele. Nel frattempo, gli utenti di Twitter si sono affrettati a notare che nel periodo in cui è stato annunciato il trasferimento di Froome alla Israel Start-Up Nation, la sua foto su Twitter – una fotografia dal Giro [d'Italia, NdT] in cui sono visibili alcune bandiere palestinesi tra la folla – è stata cancellata senza far rumore.

Per molti versi il ciclismo è il partner ideale dello sport-washing: uno sport senza una vera tradizione di attivismo politico, in cui le squadre, generalmente in difficoltà economiche, non si fanno troppi scrupoli sulla provenienza dei soldi. Ma c'è un'altra faccia della questione: per molti il ciclismo è sinonimo di libertà, di strade aperte, di intima connessione tra l'uomo e la terra. Per i ciclisti palestinesi, che affrontano una sfida quotidiana per i posti di controllo, blocchi stradali, violenze e difficoltà economiche, la bici costituisce una loro silenziosa forma di resistenza. "È nostro dovere mantenere il nostro rapporto con questa terra", ha detto al Guardian nel 2020 un ciclista palestinese di nome Sohaib Samara. "Se smettiamo di spostarci, gli occupanti ne ruberanno di più”.

E così per Israele lo sport svolge una duplice funzione: sia da rinforzo positivo che da strumento di repressione. Nel marzo 2018, un promettente ciclista palestinese di nome Alaa al-Dali ha partecipato a una marcia a Gaza con la sua bicicletta, indossando la divisa da ciclista, per protestare contro il rifiuto di Israele di permettergli di viaggiare all'estero per le competizioni internazionali. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, un cecchino israeliano gli ha sparato a una gamba, che è stata poi amputata dopo che la sua richiesta di lasciare Gaza per farsi curare è stata respinta dalle autorità israeliane. Ora gareggia come para-ciclista.

Fonte: The Guardian

Traduzione di BDS Italia