LIBERTÀ. GIUSTIZIA. UGUAGLIANZA.

Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese.

di Nadia Abu El-Haj

In un recente articolo su Haaretz, l'antropologo israeliano Dan Rabinowitz argomenta contro il movimento palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI - Palestinian Academic and Cultural Boycott of Israel) agganciando le sue credenziali politiche alla presunta amicizia con il compianto Edward Said. Scrive Rabinowitz:

"Sono un antropologo dell'Università di Tel-Aviv, orgoglioso di essere stato un amico personale di Edward Said. Sono attualmente coinvolto nello sforzo di arginare i tentativi di boicottare le università israeliane ... La battaglia in salita in cui io e i miei colleghi siamo impegnati mi fa spesso pensare all'eredità di Edward."

Dopo la morte di Said oltre un decennio fa, molti hanno evocato il suo nome o accampato crediti sulla sua eredità. L’evocazione di Rabinowitz mi sembra particolarmente cinica: poiché Said non può più parlare per se stesso, ci pensa Rabinowitz a parlare per lui: Vedete, non sono soltanto io. Anche Edward Said, una vera e propria icona della politica palestinese, sarebbe stato contro il boicottaggio accademico. Il PACBI ha attaccato anche lui. Nelle mani di Rabinowitz, l'eredità di Said è piegata a difesa del privilegio di un liberale di sinistra, ebreo ashkenazi che gode della (completa) cittadinanza nello stato di Israele anche se il suo regime razziale sempre più duro rende la vita progressivamente invivibile per i palestinesi sottomessi al suo dominio.

Rabinowitz ha ragione. Nel 2012, il PACBI ha criticato la East West Music Diwan, l'orchestra fondata da Said e Daniel Barenboim che riunisce giovani musicisti palestinesi e israeliani. Indipendentemente da ciò che si potrebbe pensare della posizione del PACBI, è falso pretendere di sapere quello che Said avrebbe fatto con Diwan - e che cosa avrebbe pensato del boicottaggio accademico e culturale – se fosse stato testimone del regime sempre più brutale di Israele e la concomitante crescita del movimento della società civile che è diventato il BDS. [1] Tutti noi possiamo evocare il nome di Said. Ma cerchiamo di essere persone adulte a questo riguardo. Apriamo la conversazione senza abusare dell’eredità di Said fondando le nostre pretese di essere dalla parte giusta della storia e della politica.

L'attacco di Rabinowitz al BDS si basa su tre affermazioni centrali. In primo luogo, che nel promuovere il boicottaggio il BDS "trascura le istituzioni economiche tradizionali" che si concentrano sulle istituzioni  "a grande maggioranza in favore del dialogo e del compromesso", cioè, le università e le istituzioni culturali. In secondo luogo, le università "non possono, non devono e non prendono posizioni istituzionali su questioni politiche". Terzo, e più importante, il BDS ha secondi fini; non è onesto sulle sue intenzioni politiche. In altre parole, senza nominarlo come tale, nel suo editoriale Rabinowitz - seguendo le orme di molti critici del BDS - solleva lo spettro dell'antisemitismo.

Ognuna delle affermazioni di Rabinowitz, tuttavia, è fuorviante. Il Comitato Nazionale del BDS è in gran parte dedicato a spingere per un boicottaggio economico. E ci sono stati alcuni notevoli successi: Durante la guerra di Gaza, nell'estate del 2014, i lavoratori portuali nel porto di Oakland [California] hanno organizzato una dimostrazione e si sono rifiutati di scaricare le merci da una nave israeliana. Quella stessa estate la Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti ha approvato una risoluzione di disinvestimento per il ritiro di milioni di dollari dalle società che traggono profitto dall'occupazione. E non sono i soli. Gli appelli a disinvestire dalle società militari e di sicurezza che sostengono e traggono profitto dall'occupazione sono sempre più ascoltati. Lo scorso aprile, la banca britannica Barclays si è sbarazzata delle sue proprietà di Elbit Systems. Allo stesso modo, la banca danese Merkur ha rescisso il suo contratto con G4S. A sua volta, l'Unione europea sta per iniziare a "piazzare etichette sui prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani.” A testamento della crescente forza degli appelli a disinvestire dall'economia israeliana, in un recente editoriale sul Washington Post due sedicenti "sionisti da tutta la vita", hanno spiegato il motivo per cui sostengono il boicottaggio economico dei prodotti israeliani - e non solo dei prodotti nei territori occupati. È vero, Steven Levitsky e Glen Weyl non inquadrano la loro richiesta di "boicottaggio e disinvestimento dalla economia israeliana" in un supporto al BDS. Ma senza il lavoro che il BDS ha fatto negli ultimi dieci anni il disinvestimento economico non sarebbe discusso. Non ci sarebbe alcun dibattito nella opinione pubblica statunitense se dire di no oppure sostenere, come cittadini americani, il disinvestimento economico dallo Stato di Israele.

Che dire delle università? È proprio vero che esse non possono, non devono, e non prendono "posizioni istituzionali su questioni politiche?" E' proprio vero che le università israeliane "sono a grande maggioranza a favore del dialogo e del compromesso?" Le università israeliane prendono continuamente posizioni politiche che sostengono lo status quo. A volte prendere posizioni politiche consiste nel fare dichiarazioni di sostegno: l’università di Rabinowitz il 24 luglio 2014 ha rilasciato una dichiarazione a sostegno di "tutte le forze di sicurezza che stanno lavorando per ripristinare la tranquillità e la sicurezza di Israele”, che equivale a dire le forze armate che combattono la guerra di Gaza. Più spesso, prendere una posizione politica è formalmente strutturale: costruire università su terre palestinesi confiscate; sviluppare sistemi d'arma con l'esercito israeliano; formulare la dottrina Dahiya, utilizzata in Libano nel 2006 e a Gaza nel 2014, che prevede l'uso sproporzionato della forza per distruggere beni e infrastrutture civili; fornire sostegno finanziario e accademico ai soldati israeliani (la stragrande maggioranza dei Palestinesi in Israele non fanno il servizio militare); offrire crediti didattici per corsi in hasbara [propaganda], cioè l'apprendimento di strategie di social media intese a giustificare le politiche israeliane nelle vesti di "diplomazia pubblica," e più routinariamente, discriminare gli studenti palestinesi. [2]

Sì, le università israeliane non sono le sole ad aiutare a sviluppare tecnologie e strategie militari o a riprodurre le forme di violenza che caratterizzano gli stati e le società di cui fanno parte. E se ci fosse un movimento politico globale per il boicottaggio delle università degli Stati Uniti per protestare contro la violenza che gli Stati Uniti scatenano sul mondo, mi sentirei solidale con quell’appello.[3] Ma qui non stiamo discutendo del "se". Nel sostenere il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, sto rispondendo a un appello della società civile palestinese che ci chiede di riconoscere il ruolo fondamentale che le università israeliane svolgono nel sostenere lo stato di Israele e il suo regime militarista. E sto rispondendo a questa chiamata perché riconosco che, come professore in un’università degli Stati Uniti, ho una particolare responsabilità politica ed etica: La relazione "eccezionale" che esiste tra gli USA e Israele impone che prenda una posizione.

Per capire che cosa è veramente in gioco nel ragionamento di Rabinowitz, tuttavia, dobbiamo affrontare la sua accusa centrale: il BDS sta mentendo sui suoi reali obiettivi. Esso sostiene di avere una certa politica, ma in realtà ne ha una molto diversa. "L'insistenza del BDS sul ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967 suggerisce una soluzione a due stati", ma è questa la sua reale politica? Si tratta di un movimento che pensa che Israele non avrebbe dovuto innanzitutto essere fondato. Si tratta di un movimento che (furtivamente) promuove una "fine dei giochi" che consiste in "un futuro senza Israele".

Ma veniamo direttamente ai fatti. Il BDS non prende una posizione su ciò che dovrebbe essere il risultato politico. Insiste soltanto che siano accolti tre principi: la fine dell'occupazione, il riconoscimento del diritto di uguaglianza per i palestinesi cittadini di Israele, e il rispetto del diritto al ritorno dei rifugiati. Inoltre, è davvero un segreto che i palestinesi pensino che lo Stato ebraico non avrebbe dovuto in primo luogo essere fondato in Palestina? Ci possono essere delle eccezioni qua e là, ma mi sembra ovvio che non c’è nessun segreto da svelare. Dopo quasi settanta anni, tuttavia, Israele esiste e quindi il discorso si sposta: Che cosa facciamo adesso? Il BDS insiste sul fatto che Israele non può, e non deve, continuare ad esistere come esiste oggi. Sì, questa è una sfida al futuro dello stato – che significa che quelli di noi che promuovono il boicottaggio e il disinvestimento pensano che lo stato di Israele non abbia il diritto di continuare ad esistere come stato razzista che nelle sue leggi sulla cittadinanza crea la distinzione tra Ebreo e non-Ebreo, i suoi regimi giuridici, il suo sistema educativo, la sua economia e le sue forze militari e tattiche di polizia. Come sarà il giorno dopo, rimane una questione aperta: una soluzione a due stati con uno smantellamento simultaneo dei privilegi ebraici all'interno della "linea verde" in modo che i cittadini palestinesi di Israele possano godere di pari diritti? Una soluzione a uno stato la cui forma rimane incerta, uno stato bi-nazionale, uno stato laico democratico? Che cosa accadrà ai rifugiati? Dove andranno? Quali diritti avranno? Il risarcimento potrà essere un'opzione? Non vi è alcuna agenda nascosta qui, solo gli sforzi per immaginare un finale di partita politica che non sia lo status quo e che sia possibile a tutti di vedere, prendere in considerazione, e discutere. La potenza del BDS sta nell’aver reso questo dibattito di dominio pubblico negli Stati Uniti in un modo che mai avevo visto prima.

Note

1. Nel 2015, lo stesso Daniel Barenboim ha espresso “sostegno con riserva” per il BDS. 

2. Vedere per esempio Levy, “The Shin Bet’s Academic Freedom; Dean of Student Office at Hebrew University of Jerusalem, “Assistance To Students Who Serve in Military Reserve Duty” (2009); “At Last: Improvement Of The Conditions Of Reservists Who Had Served In The War!” (True Change2009). See also Uri Yacobi Keller, Academic Boycott of Israel and the Complicity of Israeli Academic Institutions in Occupation of Palestinian Territories (Alternative Information Center, 2009). On hasbara, see “Haifa University Launches course in pro-Israeli propaganda,” Ben White, Middle East Monitor, 15 April 2014. On Tel Aviv University’s Operational Theory Research Institute, which pioneered the Israeli military’s urban warfare strategy, see Eyal Weizman, Hollow Land: Israel’s Architecture of Occupation (Verso, 2007).

3. Vale la pena di sottolineare, tuttavia, che le campagne di boicottaggio e disinvestimento sono efficaci solo nei confronti di particolari stati ed economie. Non è una strategia che va bene in tutti i casi. Data la potenza economica degli Stati Uniti nel mondo, non è una strategia che avrebbe molto effetto. Israele è in una posizione molto diversa: come fu per il Sud Africa, è vulnerabile ad appelli rivolti al pubblico di Stati Uniti e Europa affinché boicotti e disinvesta dalle sue istituzioni culturali ed economiche in un modo che molti altri Stati non sono, a prescindere di quanto violenti o repressivi possano essere.

Fonte: Mondoweiss 

Traduzione di Angelo Stefanini