Ultime notizie

di Stephanie Westbrook

Una coalizione trasversale di organizzazioni si è di recente mobilitata contro Watec Italy 2016, una mostra convegno israeliana sulle tecnologie per la “salvaguardia” delle risorse idriche tenutasi la settimana scorsa per la prima volta in Europa, al Pala Expo di Marghera.

Watec è una creazione della società israeliana Kenes Exhibition, società fieristica israeliana specializzata nella realizzazione di fiere tecnico-scientifiche, e si svolge ogni due anni a Tel Aviv, anche se negli ultimi anni si è allargata ad altri paesi, tra cui l'India nel 2013 e il Perù nel 2014.

Decine di sindacati e movimenti per l’acqua europei hanno scritto alla Commissione europea per chiedere il ritiro del patrocinio da Watec denunciando la partecipazione di aziende che operano nelle colonie illegali israeliane e sottolineando che il patrocinio CE arriva "in un momento in cui Israele sta tagliando l'acqua alle comunità palestinesi, lasciando decine di migliaia di persone senza accesso all'acqua durante il periodo più caldo dell'anno."

I firmatari - tra cui il movimento irlandese Right2Water e il Forum Italiano dei Movimenti per l'AcquaFIOMARCI eCospe - hanno espresso il loro rammarico nel sapere che non è la prima volta che la CE ha patrocinato Watec. Patrocinio concesso anche nelle passate edizioni a Tel Aviv che hanno avuto tra gli sponsor e i partecipanti la ArielUniversity creata in Cisgiordania nell’omonima colonia e aziende che forniscono servizi alle colonie come Mekorot, Netafim, Tahal International Group, Hagihon, KKL/JNF nonché il produttore di armi Elbit Systems.

di Sami Abu Salem

Il 95% dell'acqua di Gaza non è adatta all'uso domestico a causa dell'alto livello di inquinamento e perché salinizzata.

 Inquinamento, salinità e razionamento stanno minacciando la fornitura di acqua a Gaza

Nel campo di rifugiati di Jabalia, al nord di Gaza, i bambini e le donne anziane trasportano bottiglie di plastica raccolte vicino a rubinetti per riempirle di acqua potabile da un recente pozzo artesiano costruito dal Comune.

Dalal Awwad, un'anziana donna palestinese che vive da sola in una casa vicina, dice di usare regolarmente il pozzo per rifornirsi quotidianamente di acqua potabile.

di Susan Abulhawa

Scientific American ha recentemente condotto una ricerca sull'industria israeliana della desalinizzazione, osannandola come un prodotto miracoloso dell’ ingegno di una piccola nazione in mezzo a nazioni roventi e arretrate.

Per citare il linguaggio romanzato dell'articolo, l'autore si riferisce a Israele come "una civiltà galvanizzata che ha creato l'acqua dal nulla", dove solo a poche miglia di distanza, alludendo alla Siria e l'Iraq in particolare, ma anche ai paesi arabi in generale, "l'acqua è scomparsa e le civiltà si sono sgretolate".

E' sorprendente vedere sulle pagine di Scientific American una tale palese promozione dell'eccellenza di Israele e la resurrezione menzognera della mitologia del "fare fiorire il deserto". E 'importante integrare questa favola dell'acqua con i fatti, la storia e la realtà.

L'autore sostiene sfacciatamente che i 900 anni di storia palestinese siano israeliani. In realtà, Israele è un paese di 68 anni fondato da immigrati ebrei europei che occuparono la Palestina, espulsero la maggior parte della popolazione indigena e rivendicarono tutti i loro terreni, fattorie, case, aziende, biblioteche e risorse.

Oltre tale appropriazione gratuita di storia palestinese, l'articolo non fornisce alcun contesto storico riguardo il clima, le precipitazioni e le risorse idriche naturali, dando l'impressione di una terra arida e naturalmente inospitale.

Nei fatti, nel corso della storia, il nord della Palestina ha vantato un clima mediterraneo, con estati calde e secche e con precipitazioni abbondanti in inverno. E infatti, le precipitazioni di Ramallah sono superiori a quelle di Londra, così come le piogge di Gerusalemme.

La metà meridionale della Palestina diventa deserto intorno alla regione di Beersheba, dove il Deserto del Naqab si espande fino alla punta della Palestina. Quando Israele è stato istituito, i Palestinesi si trovavano già in una condizione di sostenibilità coltivando il 30 per cento del loro paese. Escludendo il distretto di Beersheba, tale cifra sale a una media del 43 per cento, raggiungendo il 71 per cento a Gaza.

La gestione dell'acqua al servizio del colonialismo

Il regime idrico di Israele funziona in modo sinergico all'interno di un contesto più ampio di esclusività ebraica e negazione palestinese. Separare questi due (aspetti, n.d.t.) in una discussione è frutto di malafede, dal momento che gran parte della crisi idrica corrente è direttamente e indirettamente imputabile al rovesciamento sionista di tale organizzazione sostenibile, da parte della comunità originaria, del territorio e dell'agricoltura.

Nel suo primo anno di fondazione, cominciò in modo deciso la deviazione da parte di Israele dell'acqua da fiumi e affluenti, forzando la natura verso variazioni innaturali in adempimento ad una ideologia che era in conflitto con il territorio locale.

L’aver ignorato l'incompatibilità ecologica (costituita, n.d.t.) dal piantare colture aliene ad alta intensità idrica al fine di alimentare i palati europei e l’aver irrigato il deserto per travasamento dell'acqua (proveniente, n.d.t.) dai vicini, dagli abitanti e dalla biodiversità locale, il sovra-pompaggio e la sottrazione di acqua per servire gli insediamenti sionisti con gli insostenibili standard europei, ha creato le basi per un gran numero di disastri ambientali in tutta la Palestina.

Ad esempio, anche se Israele ha propagandato la percezione di ingegnose pratiche agricole ebree (attraverso narrazioni per le pubbliche relazioni di eccezionalità ebraica simile a quello utilizzato nell'articolo di Scientific American), l'agricoltura di Israele per l'estero è stata in realtà distruttiva per l'equilibrio ecologico della Palestina. Con l'80 per cento di acqua disponibile confluita nell'agricoltura, che ha contribuito per meno del 3 per cento all' economia israeliana, Israele ha continuato a sottrarre risorse idriche per promuovere il sistema coloniale sionista, un’incongruenza ecologica per l'ambiente locale.

Privare i palestinesi della loro acqua

Simultanea rispetto alla colonizzazione è stata la negazione e l'esclusione della società palestinese originaria. Insieme con il furto all'ingrosso di ricchezze e beni palestinesi, Israele ha intrapreso la distruzione della vita palestinese, con al centro l'agricoltura palestinese, che dipendeva da colture non irrigue come alberi di ulivo.

Sempre a questo fine, il controllo totale di Israele su tutta l'acqua della Palestina gli ha permesso di mantenere i Palestinesi assetati e in ginocchio. La distribuzione iniqua e razzista di acqua è stata ampiamente documentata nei severi rapporti da parte di organizzazioni locali e internazionali.

L'articolo afferma che Israele rifornisce di acqua i Palestinesi, ignorando il fatto cruciale che l'acqua appartiene in primo luogo ai Palestinesi. L'acqua dolce viene pompata da una falda acquifera di montagna sotto villaggi e territori palestinesi per la fornitura di insediamenti israeliani. Una piccola frazione di questa acqua viene poi rivenduta ai Palestinesi, in genere a prezzi molto più alti rispetto a quello per le colonie ebraiche nella stessa zona.

Mentre i coloni ebrei consumano oltre cinque volte più acqua, godendo di prati verdeggianti e piscine private, l'accesso dei Palestinesi all'acqua è variabile, a volte discontinuo per settimane o mesi, o negato del tutto. Non è raro per interi villaggi di vivere senza acqua potabile, per non parlare di ciò che questo significa per l'agricoltura palestinese.

Travasamento delle acque di superficie

Uno sguardo alla gestione delle acque di superficie fornisce un ulteriore esempio della distruzione di Israele del potenziale idraulico della Palestina. Il fiume Al Auja, che Israele ha ribattezzato Yarkon, era un fiume costiero impetuoso, con una grande varietà di pesci e di specie faunistiche, alcune delle quali non esistono in nessun altro luogo.

Nato nel villaggio palestinese di Ras al-Ayn, è stato descritto in una guida del 1891 come "un fiume ruggente che procede a zig zag fino a gettarsi in mare ... la sua forza alimenta mulini ed è possibile catturarvi piccoli pesci". In un solo un decennio di gestione israeliana dell'acqua della Palestina, questo fiume, fonte di vita, è stato ridotto a un rivolo di acque reflue, la sua acqua dirottata e sostituita con un fango tossico di sostanze inquinanti industriali e domestiche che, nel 1997, hanno corroso i polmoni e gli organi vitali di atleti in gara ai Giochi Maccabiadi, precipitati nel fiume in seguito al crollo di un ponte.

Uno dei primi progetti idrici di Israele quando conquistò l'accesso al Giordano, è stato quello di iniziare la diversione di acqua lontano dai loro vicini, stimolando la Siria e la Giordania a seguire l'esempio di conservare la propria quota di acqua regionale. Decenni dopo, i livelli d'acqua sono così bassi che il fiume Giordano non può più ricostituire il Mar Morto. I livelli dell'acqua in declino, insieme con i "bacini di evaporazione" di Israele per estrarre minerali ed altre attività industriali hanno creato un disastro ambientale mai visto prima in Palestina.

Nel 1950, Israele ha prosciugato le zone umide di Huleh nella Palestina, un tesoro di biodiversità del Medio Oriente, per stabilirvi insediamenti ebraici. Centinaia di questi progetti coloniali hanno notevolmente degradato la ricca diversità biologica e geografica che prosperava in questo territorio dove si incontrano tre continenti.

Un miracolo israeliano?

Così, ignorando la tradizione sionistica di degradare l'ambiente della Palestina e il ruolo fondamentale di Israele nella genesi della crisi idrica in corso, l'articolo di Scientific American pone le basi per spiegare il miracolo di questa risorsa a basso costo, non invasiva, apparentemente illimitata, di acqua dolce. Francamente, questo racconto appartiene ad altri miti come "una terra senza popolo per un popolo senza terra" e Babbo Natale, le sue renne e la fabbrica di giocattoli al Polo Nord.

Mentre la desalinizzazione effettivamente offre promesse e molti vantaggi, non è per nulla miracolosa né è affatto una eccezione in Medio Oriente, dal momento che le nazioni del Golfo alle prese con la sfida dell'acqua hanno impiegato già da tempo nella regione tecniche di desalinizzazione.

Dall'esperienza, sia qui che altrove, sappiamo che, riguardo la desalinizzazione, ci sono pesanti costi ambientali e gravi rischi per la salute, compresi i sottoprodotti di gas a effetto serra e l'inquinamento. Non è chiaro se il costo propagandato di $ 0,58 per metro cubo di acqua include il costo dell'inquinamento o il costo di ampie fasce di prezioso terreno costiero che devono essere utilizzate per le infrastrutture di desalinizzazione. Né vi è stata alcuna menzione sulla nota e prevedibile devastazione della vita marina locale (provocata, n.d.t.) dalle alterazioni fisiche e chimiche dell'ambiente inerenti i processi di desalinizzazione.

Una giusta segnalazione

Negli ultimi due decenni, gli ambientalisti israeliani hanno lavorato per risvegliare la loro società sulla entità della distruzione del mondo naturale locale, ed i loro sforzi, così come la legislazione e i regolamenti, hanno iniziato a mitigare alcuni degli effetti deleteri dell'occupazione, degli insediamenti e delle intense alterazioni dell'ecologia e della geografia da parte di Israele.

Non è un recupero facile, tuttavia, in quanto le politiche di fondo israeliane, sostenute dalla inventiva della colonizzazione bianca, hanno quasi cancellato l'organizzazione sostenibile della civiltà autoctona e della ecologia nativa della Palestina.

E' irresponsabile e disonesto continuare a promulgare il mito romanzato che ispira l'eccezionalità di Israele come peculiarmente brillante, scelto per guidare e ispirare. La vera genialità è l'audace tessitura che maschera i fallimenti economici, ambientali e sociali di Israele, e l'indicibile distruzione da parte della società della vita del luogo, sia umana che non umana.

Scientific American farebbe meglio a fornirci indagini incisive e rendicontazioni oneste sulla moltitudine di sfide ambientali che affliggono l'umanità, in particolare in Medio Oriente, in un periodo senza precedenti di crescita della popolazione, inquinamento, guerre incomprensibili e riduzione delle risorse, piuttosto che promuovere le favole auto-enfatizzanti di uno stato coloniale.

Susan Abulhawa è una scrittrice palestinese-americana e autrice di successo. The Blue Between Sky and Water (Bloomsbury, 2015) è il suo romanzo più recente.

Fonte: Middle East Eye

La mancanza d’acqua non è una novità per i palestinesi. Sia nella Striscia di Gaza occupata che in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, la fornitura di acqua che scorre nelle case palestinesi è rigidamente limitata od ostacolata da Israele.

Appena durante l’estate la temperatura sale, i rubinetti si prosciugano. Clemens Messerschmid, un idrologo tedesco che ha lavorato per due decenni con i palestinesi nel loro servizio idrico, chiama la situazione ” apartheid idrico”.

Quest’anno la giornalista israeliana Amira Hass ha pubblicato dati che provano che l’Autorità Idrica Israeliana ha ridotto la quantità di acqua distribuita ai villaggi della Cisgiordania.

In alcuni luoghi l’approvvigionamento è stato ridotto alla metà. I suoi dati contraddicono le smentite ufficiali che la fornitura d’acqua alle città e villaggi palestinesi sia stata tagliata durante l’estate, benché neanche questo sia una novità.

Quest’estate cittadine e piccoli villaggi sono rimasti fino a 40 giorni senza acqua corrente, obbligando quelli che se lo possono permettere a rifornirsi da cisterne d’acqua.

di Ramzy Baroud

Intere comunità anche in Cisgiordania non hanno accesso all’acqua o hanno avuto una riduzione di circa la metà della fornitura.

Questo sviluppo allarmante è durato per settimane, da quando l’impresa idrica nazionale di Israele, “Mekorot”, ha deciso di interrompere, o ridurre in modo significativo, le sue forniture d’acqua a Jenin, Salfit e a molti villaggi attorno a Nablus, tra le altre zone.

Secondo il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese Rami Hamdallah, Israele ha intrapreso una “guerra dell’acqua” contro i palestinesi. L’ironia della vicenda risiede nel fatto che quella fornita da “Mekorot” è in realtà acqua palestinese, di cui Israele si è ingiustamente appropriato, proveniente dalle riserve acquifere della Cisgiordania. Mentre gli israeliani, comprese le colonie illegali in Cisgiordania, ne usano la grande maggioranza, i palestinesi ricomprano la loro stessa acqua a prezzi alti.

Riducendo le forniture idriche in un momento in cui i funzionari israeliani stanno progettando di esportare acqua essenzialmente palestinese, Israele ancora una volta sta utilizzando l’acqua come una forma di punizione collettiva.

di Michele Giorgio

Non risolve il problema, che è enorme, però rappresenta un passo in avanti. Il prossimo autunno sarà operativo nei pressi di Deir al Balah, nel sud della Striscia di Gaza, un impianto di dissalazione dell’acqua finanziato dall’Unione europea e dall’agenzia dell’Onu per l’infanzia, l’Unicef. Già nelle prossime settimane sarà testato con l’obiettivo di produrre al più presto 6.000 metri cubi di acqua potabile al giorno. Questa quota sarà raddoppiata nei prossimi tre anni a vantaggio di 150.000 palestinesi che vivono tra Khan Yunis e Rafah. Il 95 per cento (per altre fonti il 97 per cento) dell’acqua di Gaza, inclusa quella filtrata e venduta da 150 imprese private, è ritenuto inadatto al consumo umano. Occorrerà perciò lavorare duro e reperire in fretta i fondi necessari per costruire altri impianti di dissalazione e assicurare nuove fonti di acqua potabile a Gaza dove le condizioni di vita dei due milioni di abitanti hanno subito un rapido declino in questi ultimi anni. Una situazione sulla quale pesano anche le offensive militari israeliane avvenute tra il 2006 e il 2014 che hanno danneggiato le infrastruttute civili. A queste si aggiunge l’embargo attuato da Tel Aviv e il Cairo che spesso impedisce l’ingresso a Gaza di materiali per l’edilizia e pezzi di ricambio.

Lo stato brasiliano di Bahia ha deciso il 2 aprile di porre termine all’accordo di collaborazione con l’azienda idrica israeliana Mekorot. La decisione è arrivata dopo le pressioni esercitate dagli attivisti del movimento di boicottaggio disinvestimento e sanzioni (BDS), che lavora per porre fine alle complicità con le violazioni di Israele del diritto internazionale.

Gli attivisti della società civile e i movimenti sociali avevano denunciato in diverse occasioni l'accordo firmato nel 2013 da due compagnie dell’acqua di Bahia, l’Embasa e la CERB, a causa del ruolo di Mekorot nel negare ai palestinesi il diritto all’acqua. Il legislatore regionale Marcelino Galo, Vice-Presidente della Commissione ambiente, pesca e risorse idriche dello Stato, aveva chiesto una revisione dell'accordo. Questo processo è culminato nell'annuncio che ha dato nuovo stimolo alla campagna Stop Mekorot.

Oggi, 29 febbraio 2016, la consigliera Anita Sonego, ha presentato al consiglio comunale di Milano un'interrogazione riguardo l'accordo intercorso tra MM e Watech (Mekorot), chiedendo se la giunta ed il sindaco ne fossero a conoscenza, visto che motivazioni etiche ne sconsiglierebbero l'attuazione. Il presidente Basilio Rizzo ha assicurato una risposta in pochi giorni. All'esterno di Palazzo Marino un presidio organizzato dal Comitato Milanese per l'Acqua Pubblica e partecipato anche da BDS Milano, Associazione Oltre il Mare e Parallelo Palestina, chiedeva la cancellazione dell'accordo distribuendo volantini alla cittadinanza. Una delegazione del Comitato Milanese per l'Acqua Pubblica e BDS Milano ricevuta dai capigruppo presenti [Bertolè (PD), Morelli (Lega Nord), Mazzali (SEL), Osnato (Fratelli d'Italia), Sonego (Sinistra per Pisapia), Majorino (Assessore alle Politiche sociali)] ha esposto il caso per bocca di Erica Rodari (CMAP). BDS Milano ha esposto i precedenti come il caso Valeria, il caso Acea-Mekorot, ed il caso Parco del Mincio-KKL.

di Michela Sechi

A Milano la MM Spa, responsabile degli acquedotti della città, ha stretto un accordo internazionale di collaborazione con la Mekorot, l’azienda di Stato israeliana che gestisce le risorse idriche in Israele.

La Mekorot è un’azienda che viene accusata dai pacifisti israeliani di privare d’acqua i villaggi palestinesi e di praticare dunque “un’apartheid idrica”. L’acqua insomma viene assegnata in base all’etnia: agli israeliani acqua illimitata, ai palestinesi meno acqua a un prezzo più alto.

Gli attivisti hanno anche creato un sito internet che si chiama Stop Mekorot, in cui trovate un video che illustra come opera questa azienda. Non a caso nel 2013 la compagnia idrica olandese ha reciso ogni accordo che aveva con la Mekorot perché la collaborazione era diventata imbarazzante.

In cosa consiste l’accordo di MM Spa con Mekorot? Verrà creata una “Corporate University” con l’obiettivo di uno scambio a tutti i livelli dei “saperi” delle due aziende, per migliorare il livello di servizio ai loro clienti. In pratica ci sarà supporto reciproco per attività di sviluppo, sperimentazione e marketing di tecnologie del settore idrico. Tecnici milanesi andranno a formarsi in Israele e viceversa. MM fa sapere che una delegazione di propri tecnici è già presente da oggi nella sede di Mekorot a Tel Aviv.

Per parlare di qusto accordo è venuto negli studi di Radio Popolare l’israeliano Ronnie Barkan, attivista della campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni). “In Israele/Palestina – ci dice Barkan – c’è un regime di apartheid e anche la Mekorot è parte di questo regime”.

Pubblichiamo il comunicato del Senatore Peppe De Cristofaro (Sel) e il testo dell'interrogazione indirizzata al Ministro degli Esteri presentata da De Cristofaro ed altri senatori del Gruppo Misto. 

M.O. DE CRISTOFARO (SEL):  GOVERNO CHIEDA A IMPRESE ITALIANE DI RITIRARE LE LORO ATTIVITA' DA TERRITORI OCCUPATI DA ISRAELE  

"Il Governo italiano deve chiedere alle imprese italiane che lavorano nei territori occupati da Israele, in violazione degli accordi internazionali, di ritirare le loro attività, così come hanno già fatto altri governi europei, in base all'avviso pubblico  siglato in un'azione coordinata da 19 stati membri dell´Unione europea nel 2014 e condiviso dall'allora  Ministro degli Esteri, Federica Mogherini".  

Lo chiedono in un'interrogazione presentata al Ministro degli Esteri il sen. Peppe De Cristofaro di SEL, ed altri senatori del Gruppo Misto.  

"L'ACEA SpA, che per il 51% è di proprietà del Comune di Roma - prosegue De Cristofaro -  ha firmato un Memorandum d'intesa con la Mekorot, società idrica nazionale di Israele che sottrae acqua illegalmente dalle falde palestinesi e fornisce alle colonie israeliane illegali l'acqua rubata, come documentato da organizzazioni internazionali quali Human Rights Watch e Amnesty International. Inoltre,  l'organizzazione israeliana Who Profits afferma che la Mekorot 'è attivamente impegnata nella conduzione e nel mantenimento' dell' occupazione israeliana".

"Anche  e la Pizzarotti SpA, società privata che si sostiene con i lavori pubblici, fa affari con l´occupazione israeliana: l´impresa di Parma sta costruendo la TAV israeliana che collegherà Tel Aviv e Gerusalemme attraversando per 6,5 km la Cisgiordania occupata e confiscando terre palestinesi, per realizzare un mezzo di trasporto che sarà riservato esclusivamente ad israeliani: la  Deutsche Bahn (ferrovie tedesche) si è invece ritirata dal progetto della TAV su suggerimento del Ministero tedesco dei Trasporti".

"Infine - conclude l'esponente di SEL - considerato che la Corte Penale Internazionale ha avviato una istruttoria sugli insediamenti nei territori occupati, valutati dal Diritto Internazionale crimini di guerra,  chiediamo al Ministro degli Esteri di  invitare le Aziende italiane a ritirarsi dai progetti in atto in Israele, che violano il diritto internazionale".

INTERROGAZIONE

DE CRISTOFARO, PETRAGLIA, BAROZZINO, CERVELLINI, BOCCHINO, BENCINI, MOLINARI, MASTRANGELI - Al Ministro degli Esteri

Premesso che:

nell'estate 2014, in un'azione coordinata, 19 stati membri dell´Unione europea, tra cui Francia e Italia, hanno pubblicamente 'avvertito' i propri cittadini ed imprese a non impegnarsi in "attività finanziarie o investimenti" nelle colonie israeliane in Cisgiordania e nelle Alture del Golan visti i rischi economici, legali e di credibilità in cui sarebbero incorse a causa delle attività nelle colonie israeliane;

l'allora Ministro degli Esteri, Federica Mogherini, attuale capo della diplomazia UE, aveva dichiarato che l´avviso pubblicato dall´Italia era "in sintonia con altri Paesi europei";

a dicembre 2013, durante il vertice Italia-Israele, l´Acea SpA, che per il 51% è di proprietà del Comune di Roma, ha firmato un Memorandum d'intesa con la Mekorot, società idrica nazionale di Israele che sottrae acqua illegalmente dalle falde palestinesi e fornisce alle colonie israeliane illegali l'acqua rubata, come documentato da organizzazioni internazionali quali Human Rights Watch e Amnesty International; inoltre, l´organizzazione israeliana Who Profits afferma che la Mekorot "è attivamente impegnata nella conduzione e nel mantenimento" della occupazione israeliana;